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Noto, le meraviglie dell’universo a convegno al Cumo

Spesso ci si trova a ricordare esponenti illustri del passato, menti fine di cui si è onorati di condividere la cittadinanza, travalicando il tempo. Noto è stata anche definita “l’Ingegnosa”, e Noto anche nel contemporaneo ha tanti dei suoi figli in giro per il mondo ad affermarsi in vari campi ma spesso, troppo spesso, ignorati. La recente Conferenza Internazionale sui raggi cosmici ospitata dal Cumo, che ci ha dato l’opportunità di parlare anche dell’esperimento in atto nella stazione di ricerca a Portopalo, ci ha permesso un nuovo contatto e cioè quello con Corrado Ruscica. Il giovane scienziato nato e cresciuto a Noto, presto si è, però, trasferito al nord per completare il suo corso di studi e li è rimasto grazie ad una brillante carriera accademica. Laureatosi a Bologna in Astronomia, specializzatosi poi in Radio Astronomia, ha avuto tra i suoi docenti il professore Vincenzo Miceli, illustre esponente della materia, pensate fu stretto collaboratore di un assistente di Enrico Fermi. Ma Miceli, insegnante di matematica al Liceo Scientifico “E. Majorana” di Noto, è soprattutto conosciuto perché portò nel territorio netino , precisamente in contrada Renna un radiotelescopio, dotato di antenna dal diametro di 32 metri, gestito dall’Istituto di Radioastronomia, parte dell’Inaf, ed ha un gemello a Medicina, in provincia di Bologna. Tornando al dottor Ruscica, dopo la laurea vinse una borsa di studio per il dottorato di ricerca in Astronomia all’Università di Milano, dove vive attualmente. Con un’ampia formazione scientifica, affinata dalle tante esperienze, anche all’estero, oggi principalmente si occupa di divulgazione scientifica e cura il blog AstronomicaMens, in cui vengono trattati argomenti di cosmologia, astrofisica, astrobiologia e fisica delle particelle. Inoltre è autore di “Idee sull’Universo”, “Enigmi Astrofisici” e “L’Universo Infante” editi da Macro Edizioni. Ecco perché abbiamo colto non solo l’opportunità di ricordarlo nella sua Città ma soprattutto perché nessuno meglio di lui, che si occupa proprio di divulgare e comunicare i misteri della scienza, può parlarci di questo convegno internazionale e della sua importanza.”Fra i tanti temi discussi al convegno RICAP 2014, svoltosi nei giorni scorsi a Noto – esordisce il dottor Ruscica – si è parlato principalmente di raggi cosmici e neutrini. 80 scienziati, provenienti da 15 paesi, sono convenuti nella città barocca per presentare lo stato dell’arte e gli ultimi risultati delle loro ricerche relativamente a tutta una serie di esperimenti che sono condotti in vari laboratori sparsi nel globo ma anche nello spazio. In particolare, una sessione è stata dedicata alla materia scura, quella enigmatica componente che costituisce oltre l’85 per cento di tutta la materia presente nell’Universo e di cui non sappiamo ancora nulla”. Che cosa sono i raggi cosmici? “Si tratta di particelle energetiche di origine extraterrestre che provengono da varie sorgenti celesti, come il Sole, le stelle, oppure si possono originare a seguito delle esplosioni stellari. La maggior parte dei raggi cosmici che arrivano sulla Terra sono di seconda generazione, nel senso che vengono prodotti nell’atmosfera dai raggi cosmici primari interagendo con le molecole dando luogo ad un processo a cascata. Si calcola che, in media, arriva una particella su ogni centimetro quadrato di superficie terrestre ogni secondo. I raggi cosmici primari, cioè quelli che arrivano direttamente dallo spazio, sono sostanzialmente protoni, poi c’è una minoranza di altre particelle costituita da nuclei di elio, elettroni, fotoni, neutrini e antiparticelle, come i positroni e gli antiprotoni”. Perché gli scienziati sono interessati a studiare i raggi cosmici? ” Lo studio dei raggi cosmici ha dato molti contribuiti per lo sviluppo della fisica fondamentale. Ad esempio, sono state scoperte alcune particelle importanti come il positrone, cioè la prima particella di antimateria mai scoperta altresì nota come l’antiparticella dell’elettrone; il muone, una particella circa 200 volte più pesante dell’elettrone che fa parte della famiglia dei leptoni e poi altre particelle strane. Tutto questo accadeva in un’epoca in cui la tecnologia degli acceleratori di particelle non era stata completamente sviluppata. Oggi, uno dei misteri più oscuri riguarda l’origine dei raggi cosmici ultra energetici: per fare un confronto, la loro energia sarebbe paragonabile a quella di una palla da tennis che viene colpita con una velocità dell’ordine di 100 Km/h in un punto, che rappresenta il nostro protone. Ora, queste particelle si muovono con una velocità di circa un centimillesimo del valore della velocità della luce, che è di circa 300 mila Km/sec e non sappiamo quale oggetto o sorgente possa generarle con una tale energia. Lo scopo di alcuni esperimenti attualmente in corso, come ad esempio quello condotto presso l’osservatorio Pierre Auger di cui si è parlato al convegno, stanno tentando di svelare questo mistero. Non solo, ma l’esperimento Auger, che monitora un’area di oltre tre mila chilometri quadrati nella pampa argentina nei pressi di Malargue, sta fornendo preziosi dati sui raggi cosmici. Uno dei risultati più importanti di questo esperimento suggerisce che la direzione da dove provengono le particelle di energia estremamente elevata sia correlata alle galassie attive, il che vuol dire che tali particelle sono in definitiva di origine extragalattica. Infine, esistono altri esperimenti di cui gli scienziati si sono confrontati durante le giornate netine, tra questi ricordiamo i rivelatori di raggi-gamma MAGIC, HESS, VERITAS e Fermi-GLAST, che hanno permesso di dimostrare che i raggi cosmici di energia intermedia, e che permeano lo spazio e bombardano continuamente il nostro pianeta, sono di origine galattica, cioè provengono dalla Via Lattea e vengono accelerati nei resti di supernovae, un meccanismo che fu inizialmente ipotizzato a partire dagli anni ’40 dal fisico italiano Enrico Fermi”. Ma passiamo adesso ai neutrini, di cui spesso ne sentiamo parlare, un altro argomento che è stato dibattuto durante il convegno tenutosi a Noto. Cosa ci può dire in merito a queste particelle? “I neutrini sono particelle elusive, sfuggenti, direi quasi misteriose, tra le più affascinanti da studiare. Essi appartengono alla famiglia dei leptoni, cioè quelle particelle che assieme agli elettroni, ai muoni, ai tauoni e ai rispettivi neutrini fanno parte della materia ordinaria. L’esistenza del neutrino venne postulata nel 1930 da Wolfgang Pauli ma la scoperta arrivò 26 anni più tardi. Anche per i neutrini c’è ancora un po’ di Italia, dato che il termine fu coniato da Enrico Fermi come diminutivo del neutrone, una particella molto più pesante che assieme al protone costituisce l’atomo. Una delle peculiarità di queste particelle riguarda la loro massa che risulta estremamente piccola, così come è stato dimostrato da alcuni esperimenti che suggeriscono dei valori da centomila ad un milione di volte inferiori rispetto alla massa dell’elettrone. Nell’ambito della ricerca sui neutrini è stato scoperto ad esempio che essi “oscillano”, cioè cambiano le loro proprietà, dette tecnicamente “sapori”, con il passare del tempo. Questo fenomeno non solo permette di risolvere alcuni problemi legati alla loro origine ma soprattutto implica che la loro massa non sia nulla. Possiamo dire che assieme ai fotoni e ai raggi cosmici di alta energia, i neutrini rappresentano una sorta di “messaggeri cosmici” e perciò ci permettono di esplorare le regioni più remote dell’Universo fornendoci preziosi informazioni sui vari fenomeni astrofisici”. Dato che queste particelle sono così sfuggenti, come fanno i fisici a catturarle? “Per rivelare i neutrini, i fisici devono costruire delle apparecchiature costituite da enormi quantità di materiale (come ad esempio i rivelatori al cloro, al gallio, all’acqua pura o pesante) che sono posti sottoterra in modo da schermare la radiazione cosmica. A causa del loro elevato potere penetrante, si pensi che occorrerebbe un muro di piombo di spessore pari ad un anno-luce (ricordiamo che 1 anno-luce è la distanza percorsa dalla luce in 1 anno, pari a circa 9500 miliardi di chilometri) per bloccare la metà dei neutrini che attraversano la materia. Mi ricordo di un particolare evento che accadde mentre frequentavo il secondo anno del corso di Laurea in Astronomia all’Università di Bologna e cioè l’esplosione della supernova 1987A. La notizia fece il giro del mondo e la comunità scientifica fu impegnata per diverse settimane a raccogliere dati preziosi che confermarono una previsione teorica. In altre parole, quando una stella esplode, gran parte della sua energia viene irradiata nello spazio sottoforma di neutrini di cui è possibile registrare il flusso che arriva sui rivelatori a Terra. Insomma, si trattava della prima prova sperimentale legata ad un fenomeno di natura astrofisica a supporto della teoria. Invece, più di recente abbiamo assistito ad un fatto curioso: nel 2011, i ricercatori di un altro esperimento, chiamato OPERA, affermarono di aver trovato un’anomalia nella misura della velocità dei neutrini che sembrava essere superiore a quella della luce. La teoria della relatività di Einstein sembrava essere messa in discussione ma circa un anno dopo, una analisi più attenta dei dati fece rientrare, per così dire, l’allarme: quella anomalia era dovuta alla presenza di errori sistematici nell’apparato sperimentale”.  Al largo di Capo Passero è in fase di costruzione un laboratorio sott’acqua, situato a 3500 metri di profondità, per lo studio dei neutrini, uno dei temi più discussi durante il convegno, vista anche la scelta simbolica della sede di Noto che si trova nelle immediate vicinanze. Di che cosa si tratta? “Si chiama “chilometro cubo”, meglio noto con la sigla KM3NeT, ed è un laboratorio sottomarino che occuperà un volume di diversi chilometri cubi. Il progetto scientifico è stato concepito per la costruzione di un telescopio speciale, attualmente in fase di realizzazione, che sarà caratterizzato da una rete di migliaia di sensori ottici allo scopo di raccogliere nelle profondità marine la debole luce prodotta dalle particelle cariche, tipicamente muoni, a seguito delle interazioni tra i neutrini e il rivelatore. L’enorme massa del rivelatore, stiamo parlando di qualche migliaia di miliardi di chili, è dovuta in parte al flusso relativamente debole dei neutrini cosmici di alta energia e dall’altro alla loro debole interazione con la materia. Tuttavia, gli strumenti sono in grado di operare in sicurezza sotto il limite di profondità dove arriva la luce solare, che è di circa 1000 metri. Infatti, a queste profondità, il rivelatore può ancora essere illuminato dalla luce Cerenkov (cioè radiazione elettromagnetica emessa dal materiale quando le sue molecole vengono polarizzate da una particella carica in moto che lo attraversa) dovuta ai muoni prodotti nei raggi cosmici secondari quando emergono nell’atmosfera terrestre (se ne calcolano circa 10 miliardi per chilometro quadrato all’anno). Il Mediterraneo sembra essere un posto ideale per un osservatorio di questo tipo anche perché è fornito di acqua dalle eccellenti proprietà ottiche alle giuste profondità. Inoltre, bisogna ricordare che la posizione del laboratorio è stata scelta per fare da complemento alle osservazioni di un altro telescopio, chiamato IceCube, che si trova al Polo Sud. KM3NeT avrà il compito di monitorare gran parte del disco della Via Lattea, incluso il centro galattico, che risulta meno visibile dal Polo Sud. Infine, lo strumento sarà in parte utilizzato per lo studio della materia scura. Ma non solo, l’osservatorio sarà dotato anche di strumenti destinati alle scienze terrestri e oceaniche e per il monitoraggio in tempo reale e a lungo termine degli ambienti marini su scale di profondità pari a qualche chilometro”. La materia scura, dunque, durante il convegno, una sessione speciale è stata dedicata proprio a questa, forse il mistero più grande della moderna cosmologia. Quali sono le ultime novità in questo campo della ricerca? “Il concetto di materia scura risale agli anni ’30 quando l’astronomo svizzero Fritz Zwicky si accorse che c’erano delle anomalie nel moto delle galassie negli ammassi, un fatto che non poteva essere spiegato solamente dall’interazione gravitazionale dovuta solamente alla materia visibile. Egli introdusse un termine, “massa mancante”, per giustificare i dati osservati, ma all’epoca nessuno diede credito alle sue osservazioni. Più tardi, verso la fine degli anni ’70, l’astronoma americana Vera Rubin fece emergere definitivamente il problema della “materia non visibile”: analizzando le curve di rotazione delle galassie a spirale, ella si accorse che la velocità di rotazione delle stelle non diminuiva verso le regioni periferiche del disco galattico, come ci si aspettava, bensì rimaneva costante e in certi casi aumentava. Oggi sappiamo che lo spazio è permeato di questa sostanza misteriosa, essa è ovunque e costituisce una sorta di “scheletro cosmico” dove sono distribuite le galassie e gli ammassi di galassie. Sappiamo che è lì fuori ma non sappiamo cos’è e le recenti osservazioni che sono state condotte con i satelliti WMAP e più recentemente con il satellite Planck suggeriscono che essa costituisce oltre l’85 per cento della materia presente nell’Universo. È quasi imbarazzante parlarne perché non sappiamo veramente nulla. Nonostante ciò, sono state avanzate alcune ipotesi per spiegare la sua origine e natura. Secondo gli attuali modelli, la materia scura viene distinta in materia barionica e non barionica. La materia scura barionica è quella composta dalla materia ordinaria, cioè quella di cui siamo fatti io, lei, i pianeti, le stelle e così via, che però non emette radiazione. Alcuni oggetti candidati appartenenti a questa categoria sono chiamati MACHO, ossia oggetti compatti di grande massa presenti nell’alone galattico. Invece, per la materia scura non barionica le principali candidate sono rappresentate da ipotetiche particelle, dette WIMP, che vuol dire particelle massicce che interagiscono debolmente con la materia e quindi difficilmente rivelabili. Forse si tratta di un’altra categorie di particelle previste dalla supersimmetria (come i neutralini o gli assioni che non abbiamo ancora osservato), una teoria estensione del modello standard che descrive le proprietà ed il comportamento delle particelle elementari e delle interazioni fondamentali a noi note, o ancora di altre particelle sconosciute soggette solo alla forza gravitazionale e all’interazione nucleare debole. Esistono alcuni esperimenti che cercano di rivelare queste particelle di materia scura producendole, ad esempio, negli acceleratori di particelle, misurando cioè l’energia che dovrebbero rilasciare quando esse entrano in collisione con la materia ordinaria, oppure nello spazio analizzando le annichilazioni fra le stesse particelle di materia scura che hanno si originano nelle regioni del nucleo galattico. Alcuni anni fa si pensava che persino i neutrini potessero essere ritenuti responsabili per la materia scura, ma oggi sappiamo che la loro massa contribuisce solo per una frazione insignificante. In tal senso, la sensibilità del rivelatore situato presso il telescopio KM3NeT potrebbe dare un contributo importante alla ricerca di particelle di materia scura non barionica e, secondo quanto prevedono alcuni modelli, permettere di rivelare i neutrini generati a seguito dei processi di annichilazione degli ipotetici neutralini che si sarebbero accumulati, sin da quando è nato l’Universo, nei nuclei degli oggetti celesti di grande massa, come la Terra, il Sole o il nucleo della nostra galassia”. E adesso torniamo a Corrado Ruscica come esperto e soprattutto i suoi prossimi progetti. ” Ho pubblicato tre libri, nei quali ho voluto mettere insieme nel primo le nostre idee sull’universo, una panoramica su quelle che sono le nostre conoscenze da Galileo ai giorni nostri, argomenti top che derivano da conferenze tenute al planetario di Milano; il secondo l’ho voluto dedicare agli attuali enigmi della cosmologia e dell’astrofisica moderna; mentre nel terzo si parla della luce più antica e dell’universo primordiale-  e conclude- Sono stato quest’estate in Sicilia, sponda occidentale, per un ambizioso progetto in fase di esecuzione che vedrà la nascita di un parco astronomico nelle Madonie, ad Isnello. Infine sto lavorando ad un mio prossimo libro che spero possa essere pubblicato nel 2015 in occasione dell’Anno Internazionale della Luce, i cui temi saranno principalmente dedicati alla relatività generale e alla radiazione cosmica di fondo”.

Emanuela Volcan

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