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Acque salate, il tribunale condanna l’ex deputato Gennuso

L’ex parlamentare regionale Pippo Gennuso è stato condannato a 5 anni e 3 mesi a conclusione del processo scaturito dall’inchiesta “acque salate”, portata a termine dl personale del Nictas in servizio alla sezione di polizia giudiziaria della procura aretusea, in cui era imputato per truffa aggravata, adulterazione di sostanze alimentari e frode nell’esercizio del commercio. La sentenza è stata emessa ieri pomeriggio dal tribunale che ha accolto appieno la tesi del pubblico ministero Tommaso Pagano. I giudici hanno anche condannato alla pena di 4 anni e mezzo di reclusione il collaboratore di Gennuso, Walter Pennavaria. Per il tribunale, insomma, il dibattimento ha provato che sia stata adulterata l’acqua distribuita agli utenti, allacciati alla rete idrica di contrada Granelli a Pachino e delle zone limitrofe; l’erogazione di acqua differente per qualità e provenienza da quella pattuita; di avere promesso di vendere agli utenti allacciati alla rete idrica, acqua potabile proveniente dall’acquedotto di Ispica, mentre avrebbero distribuito acqua idrica del pozzo di contrada Chiappa.

A nulla è valsa l’arringa dei legali difensori che hanno sostenuto l’insussistenza delle accuse mosse dal pubblico ministero, atteso che, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, non è mai emersa alcuna ipotesi e non è stato riscontrato alcun caso di avvelenamento tra gli utenti e che l’acqua distribuita in contrada Granelli, proveniva dall’acquedotto del comune di Ispica. Il difensore di Gennuso ha chiarito tutti gli aspetti contrattuali a cominciare da quello legato alla fornitura di acqua, che avrebbe le medesime proprietà organolettiche di quella erogata in diversi comuni della zona sud. Anzi, il consorzio si era mosso per fare arrivare l’acqua in quelle contrade in cui i residenti soffrivano per la penuria del prezioso liquido, soprattutto nella stagione estiva.

“Continuo a rimanere sereno – ha commentato Gennuso – leggeremo le motivazioni della sentenza e siamo pronti a ricorrere in appello a Catania, certi di potere ribaltare il giudizio di primo grado”. 

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