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Mafia: ancora un’intimidazione contro la famiglia dell’onorevole Pippo Gennuso

Un fatto di cronaca – a cura di Concetto Alota

La denuncia presentata dall’imprenditore Riccardo Gennuso, figlio dell’onorevole Pippo Gennuso, presso la Stazione dei carabinieri di Rosolini, apre una vecchia ferita mai rimarginata per la famiglia dell’ex parlamentare regionale. Secondo il denunciante, di primo acchito nello sfondo appare lo spettro di un passato poco rassicurante. Un gatto bruciato è stato fatto trovare all’interno del locale in cui è ubicata l’attività commerciale della famiglia Gennuso a Palermo. In una zona riservata al parcheggio del Bingo nella disponibilità della famiglia Gennuso, vicino al cancello d’ingresso il gatto bruciato sembra come un segnale sinistro, un avvertimento intimidatorio nella logica mafiosa. Ad informare Riccardo Gennuso è stato un dipendente incaricato che ha scoperto il fatto e che, in un primo momento, aveva pensato che si trattasse di una ragazzata. Ma i sospetti con il passare delle ore hanno preso una conformazione diversa.

L’onorevole Pippo Gennuso lamenta già da tempo di non essere adeguatamente protetto dopo le minacce ricevute a seguito delle sue denunce nei confronti di estorsori palermitani che gli chiedevano il pizzo per una delle sue attività imprenditoriali. “Ho denunciato i fratelli Cosimo e Giorgio Vernengo, figli del boss Pietro, capomafia – dichiarava in merito Gennuso – del mandamento di Santa Maria di Gesù. Non voglio fare la fine di Libero Grassi”. La Prefettura di Palermo gli ha assegnato una tutela dinamica ma il parlamentare chiede una valida protezione per lui e i suoi figli con un piano di sicurezza più efficace.

Come si ricorderà, nel processo di merito furono inflitte nove anni di reclusione per il boss di Santa Maria di Gesù Cosimo Vernengo e cinque anni per Paola Durante, che gestiva il bar di una sala bingo del quartiere di Villagrazia, a Palermo. I due sono stati condannati per una estorsione ai danni dell’ex deputato regionale.

Pippo Gennuso e il figlio Riccardo avevano acquisito l’attività del locale; l’inchiesta parte a seguito dell’acquisto di un bar situato all’interno del bingo, che sarebbe stato poi al centro di un ricatto da 50 mila euro a cui furono costretti a sottostare i Gennuso, ma questo accade soltanto dopo avere rilevato l’attività commerciale.

A denunciare l’estorsione da parte di Vernengo, Giuseppe Gennuso, dopo che un inviato delle “Iene” aveva svolto degli accertamenti sulle pressioni di Vernengo.

Per legge, infatti, il bar non può avere una licenza a parte e una gestione separata da quella del titolare del bingo. E invece Vernengo, con la Durante la quale avrebbe fatto da prestanome e da tramite, avrebbe preteso 50 mila euro da pagare anche a rate per lasciare libero il locale. Gennuso, che col figlio Riccardo aveva deposto in aula e sostenuto anche un confronto con un altro teste durante la fasi del processo, furono presa di mira: l’uccisione di due cani all’interno di una proprietà dei Gennuso nel territorio di Ispica e minacciato Pippo Gennuso con un pistola da due uomini a volto coperto a bordo di una grossa moto. Ora il gatto bruciato fatto trovare all’interno dell’attività ubicata a Palermo riapre la vecchia questione della protezione dei testimoni di giustizia non adeguata. 

Il contributo dei testimoni di giustizia è fondamentale per le indagini e per la lotta alle mafie, ma nello stesso tempo sono potenzialmente, in teoria, cadaveri che camminano. Le istituzioni spesse volte sono responsabili dell’angoscia che i testimoni di giustizia giocoforza patiscono. I tanti esposti e le richieste di aiuto da parte dei testimoni di giustizia il più delle volte non vengono approfondite e finiscono con un nulla di fatto. L’allarme viene denunciato in tutte le salse, ma nessuno interviene. I testimoni diventano preziosi, scortate fino alle dichiarazioni in aula e le relative condanne grazie alle loro testimonianze, per diventare carne da macello subito dopo. La loro collaborazione è indispensabile contro la lotta al crimine organizzato, spesso, però, diventano eroi da commemorare.

Sono tanti i testimoni di giustizia, che protestano perché gli è stata negata la scorta, tra cui anche Pippo Gennuso. A volte a condannare i testimoni e i collaboratori di giustizia è l’assordante silenzio della politica. Forse perché si ritiene un tema sgradevole sul quale ci sono pertinenti attribuzioni di colpe o responsabilità. Manca poi l’impegno nei confronti di uomini che hanno abbandonato le gioie della vita, per passare nell’inferno sulla terra. E questo perché la politica, le istituzioni, la società civile, si devono impegnare davvero sui modi e i termini della sicurezza e delle concessioni delle scorte, così come delle facili modalità di revoca della protezione.

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