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Giovanni Intravaia: “Il traffico d’influenze e la figura del facilitatore”

Il traffico d’influenze. Questo reato era presente in molti paesi europei da molti decenni; se ne chiedeva l’inserimento in tutti gli ordinamenti giuridici degli Stati firmatari della Convenzione europea per la lotta alla corruzione. Il fine della legge Severino che introdusse l’art. 346-bis nel codice penale, era di punire chi svolge attività di intermediazione su pubblici ufficiali con mezzi illeciti.

Un intervento sul traffico d’influenze illecite e i suoi effetti sulla società moderna, regolato dall’art. 346 bis Codice penale, introdotto dalla Legge. N. 190 del 2012 – Legge Severino, è stato approfondito nella sfera ristretta della sostituzione della vecchia figura del faccendiere, dall’avvocato Giovanni Intravaia (nella foto), nel salone delle conferenze di un noto Resort del territorio. L’occasione è stata la prima conferenza nella presentazione di un ciclo d’incontri sul tema dei reati rivisitati e introdotti dalla legge Severino.

Promotore degli eventi, l’avvocato Giovanni Intravaia, presidente dell’Osservatorio Cattolico “ Pro Iure et Iustitia”. Dopo i saluti e i ringraziamenti di rito rivolti al folto pubblico degli invitati e la premessa sull’argomento, Giovanni Intravaia ha esordito parlando del “facilitatore”; un sostantivo maschile che indica – afferma il relatore – chi facilita e rende agevole il conseguimento di qualcosa. Questa è la semplice definizione del dizionario”.

“Nel suo libro “Il facilitatore”, Sergio Rizzo analizza una nuova figura che emerge naturalmente nelle dinamiche della nuova corruzione consociativa, basata sulle consulen­ze e sui favori, più che sulle classiche tangenti in denaro”.

“Chi è il “facilitatore”? È chi sta al centro di una fitta rete di conoscenze, interessi, legami che avvincono il potere legale a quello illegale, l’economia e la politica alle associa­zioni mafiose e ai poteri massonici. Il “professionista” deve portare ordine nella confusione, creando il collegamento tra chi ha il compito di decidere e chi deve attuare le decisioni, tra chi presenta una proposta e chi la deve valutare”.

Il suo ruolo, nella buona sostanza, è “far, funzionare le cose, per “scivolare” lungo il binario giusto”.

“Il facilitatore – ha continuato Intravaia – non è però un’invenzione letteraria, ma un operatore, a cavallo fra il grottesco e il drammatico, che compare sistematicamente nelle più importanti indagini sulla moderna corruzione, quale soggetto che deve age­volare i rapporti tra i diversi mondi che, nella moderna forma assunta dal fenomeno corruttivo, sono uniti da le­gami stabili e strutturati”.

“Nel nuo­vo contesto la tangente non è la remunerazione di uno specifico favore, ma una pratica diffusa e preventiva che vede il burocrate o il politico pronto a risolvere proble­mi, a sbloccare pratiche, ad “aiutare” a tutto ‘tondo l’im­prenditore amico nei rapporti con gli uffici della Pubbli­ca Amministrazione. Insomma, non si vende l’atto, ma la funzione o qualità del pubblico ufficiale. Il giuramento di fedeltà, poi, allo Stato è tradito alla radice e, con esso, la digni­tà di chi l’ha prestato”.

“La complessità delle trame e delle relazioni “istituzio­nali” richiede – conclude Intravaia – quindi, la presenza di un soggetto dotato di un’ampia rete di amicizie e di conoscenze, in grado di intervenire nei procedimenti di formazione della volontà dell’amministrazione e di mettere in contatto politici, bu­rocrati, imprenditori ed esponenti del mondo criminale. E, in definitiva, un “mediatore amministrativo”, rigorosamen­te bipartisan, capace di raggiungere politici e amministra­tori, di aprire tutte le porte e di aver la meglio sugli infer­nali meccanismi della burocrazia”.

Interessante diventa la “traslazione” che il relatore, anche non menzionandola, tra le due figura, atteso che nel sistema giuridico italiano il traffico d’influenze illecite è assurto a rilevanza penale per il tramite un’interpretazione giurisprudenziale estensiva delle norme in tema di millantato credito, e segnatamente del primo comma dell’art. 346 codice penale, letto in maniera tale da comprendere nel perimetro della tipicità anche le condotte consistenti nel vantare un “credito” reale ed effettivo presso il pubblico ufficiale/impiegato.

L’articolo 346-bis del codice penale italiano prevede che chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 319 e 319 ter, codice penale, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere a sé o ad altri denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, in altre parole, per remunerarlo, in relazione del compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio, è punito con la reclusione da uno a tre anni. La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale.

La pena inoltre è aumentata se il soggetto che indebitamente fa dare o promettere a sé o ad altri denaro o altro vantaggio patrimoniale riveste la qualifica di pubblico ufficiale o d’incaricato di un pubblico servizio. L’aumento è previsto anche per i fatti commessi riguardo all’attività giudiziaria.

C.A.

 

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