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Inchiesta della Dda di Catania, sequestrati beni per 12 milioni al clan Cappello Bonaccorsi

Un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catania, ancora una volta scoperchia una pentola di acqua sporca che bolliva di nascosto nel comparto dell’attività mafiosa nel territorio sud orientale della Sicilia. A riaccendere le luci della ribalta della cronaca pesante, il sequestro di beni per 12 milioni di euro operati dalla polizia di Stato di Catania. Il provvedimento è stato disposto dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Catania e riguarda beni ritenuti riconducibili a Giuseppe Guglielmino, 43 anni, attualmente detenuto. La sua attività d’impresario, secondo le indagini della Sezione di polizia anticrimine e della Squadra Mobile, è ritenuta “orbitante nell’area d’influenza della cosca Cappello Bonaccorsi”. L’indagato è il convivente della figlia di Orazio Pardo, esponente di vertice della cosca mafiosa. In passato è stato denunciato per associazione mafiosa, bancarotta fraudolenta e intestazione fittizia di beni. Apposti i sigilli in attesa della definitiva confisca a sei imprese tutte operanti nel settore della gestione dei rifiuti, oltre a beni immobili, autoveicoli, conti correnti e depositi per un valore stimato di circa 12 milioni di euro. Il sequestro ha interessato la totalità delle quote e l’intero patrimonio aziendale della Geo Ambiente di Belpasso, della Consulting Business di Guglielmino Giuseppe di San Gregorio di Catania, della Clean Up di Motta Sant’Anastasia, della Eco Logistica di Aci Sant’Antonio, della Eco Business di Siracusa e della Work Uniform di Catania. Sigilli sono stati posti anche a sette fabbricati e a 11 veicoli.

Secondo la polizia di Stato di Catania, Guglielmino sarebbe “un soggetto socialmente pericoloso, scaltro e particolarmente attento agli affari, con investimenti di denaro orientati alla costituzione di numerose società, generalmente afferenti il settore della raccolta e smaltimento dei rifiuti”. Secondo le indagini degli inquirenti, sarebbe anche un imprenditore “spregiudicato” che “poteva agevolmente aggiudicarsi appalti, minando pericolosamente l’economia sana del territorio”. Un personaggio “attento e oculato nella gestione dei ricchi proventi” che erano “investiti in beni mobili e immobili, intestati fittiziamente a terzi, per lo più parenti”.

Per inquirenti e investigatori si è trattato di un’indagine complicata a causa dalla fitta rete di “prestanome” utilizzata per proteggere e gestire in anonimato le aziende operanti nel settore della gestione ambientale ed ha preso il via per la sproporzione tra i redditi e i possedimenti formalmente dichiarati da Giuseppe Guglielmino e dal suo nucleo familiare e le reali capacità di produrre tali ricchezze.

C.A.

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