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La DDA di Catania attraverso vecchi e nuovi pentiti rispolvera una dozzina di omicidi impuniti commessi a Siracusa

Sono in procinto di essere svelati i misteri di tanti omicidi avvenuti nel territorio siracusano nell’ultima guerra di mafia negli ultimi vent’anni. La Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, dopo i riscontri alle dichiarazioni rese dai vecchi e dai nuovi pentiti, alcuni dei quali avevano dapprima ritrattato e che ora hanno ripreso la collaborazione con la Giustizia, sta per fare luce su una dozzina di uccisioni e tre attentati. I magistrati della Dda, dopo complesse indagini delegate a carabinieri e polizia per la ricostruzione capillare dei fatti, con la testimonianza incrociata su buona parte degli omicidi rimasti impuniti, tutti commessi a Siracusa dal 1990 fino ai nostri giorni, sono ormai alla volata finale del filone d’inchiesta contro la malavita siracusana.

Nella complessa indagine ci sarebbero coinvolte a vario titolo circa 80 persone tra mandanti, complici, esecutori materiali, gregari e fiancheggiatori, molti dei quali in stato di carcerazione e altri in libertà. Personaggi rimasti nell’ombra, ma che, secondo l’esito delle indagini, avrebbero partecipato a crimini di sangue insieme con i bossi di riferimento. Inquirenti e investigatori parlano del vecchio scudo dell’omertà che subisce così un secco sfondamento verso le braccia della Giustizia, premiando, di fatto, il duro lavoro dei magistrati e delle forze dell’ordine, impegnati in prima linea nella lotta alla mafia organizzata; e mentre prima era lo schermo e lo strumento protettivo per non incrinare la tenuta dell’organizzazione intesa quale “famiglia”, o gruppo di appartenenza, il mezzo per vincolare gli associati di mafia, oggi si è disintegrato quasi del tutto. Lo svuotamento degli uomini in libertà al servizio dei clan poneva un limite di demarcazione a chi pensava di pentirsi per avere in cambio le agevolazioni di legge, e la minaccia di ritorsione contro i propri familiari ha fatto la differenza. Oggi ci troviamo di fronte all’opposto, dove nessun “militare” dei gruppi mafiosi è in libertà per poter “regolare” i conti all’interno della propria “famiglia” e nemmeno ricambiare il favore a clan un tempo avversi e oggi alleati contro il facile pentitismo, colpa anche degli sconti di pena e della crisi economica che, di fatto, hanno cambiato la mappa del crimine organizzato.

Puntuali le indicazioni di una quindicina collaboratori di giustizia tra vecchi e dei nuovi sul lungo elenco degli episodi criminosi avvenuti a Siracusa, che hanno raccontato i particolari appresi per la partecipazione, via diretta o da confidenze e il sentito dire di compagni di attività criminale, oppure durante le ore d’aria nel periodo della detenzione in carcere.

Troviamo, in primis, i vari racconti sull’omicidio di Liberane Romano, avvenuto nel maggio del 2005, che hanno portato alla condanna all’ergastolo dei responsabili; dapprima di Giuseppe Calabrese e Salvatore Calabrò, condannati all’ergastolo, mentre nel marzo del 2016 li ha seguiti Pasqualino Mazzarella. Per l’accusa, rappresentata in Aula dal Pm Andrea Ursino, Mazzarella avrebbe aiutato a consumare il delitto, partecipando alla finta riunione in una villetta di Fontane Bianche e poi a ripulire il pavimento dal sangue e infine a occultare il cadavere di Romano fino ad appiccarne il fuoco dopo averlo custodito nel bagagliaio della Ford Focus della vittima.

Ma i pentiti sono andati oltre, portando alla luce particolari su una serie di altri omicidi. Tra i tanti, quello ai danni del giovane Alex Giarratana, avvenuto in contrada Isola. Secondo il loro racconto, il delitto sarebbe stato commesso da 2 killer arrivati da Napoli, appartenenti al clan dei “Scissionisti” della camorra, a cui l’attentato mortale era stato commissionato da detenuti siracusani, uno dei quali sarebbe stato schiaffeggiato dal giovane per futili motivi.

Nei mille riscontri dei magistrati della Dda ci sarebbero i racconti e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, dove entrano a forza anche gli omicidi di Roberto Veneziano, avvenuto nel ronco primo di Via Filisto a Siracusa. Le narrazioni di fatti ai magistrati della Dda di Catania sarebbero confermate dai riscontri oggettivi posti agli atti e dall’approfondimento delle indagini a seguito delle dichiarazioni dei nuovi collaboranti di giustizia, che avrebbero fatto luce su alcuni particolari sugli episodi indicando mandanti ed esecutori, dell’omicidio di Angelo Sparatore, fratello del collaboratore di giustizia Concetto, braccio destro di Salvatore Bottaro, ucciso sotto casa da un commando che aspettava la sua uscita, nascosto in un furgone nel rione della Mazzarrona.

Uno dei collaboratori di giustizia della prima ora, Rosario Piccione, detto “il ragioniere della mafia”, dopo le rivelazioni sui mandanti e gli esecutori dell’omicidio di Liberante Romano e di altri fatti di sangue, svela già nel 2002 anche particolari sul delitto di Giuseppe Romano, freddato in via Elorina nel 2001 da due killer mentre era alla guida di una 126 Fiat rossa. Romano, secondo il racconto di Piccione, che sarebbe stato ora confermato anche dai nuovi pentiti, fu scambiato per il proprietario dell’autovettura che guidava e che era di proprietà di un suo amico. Furono indicati anche i mandanti, gli esecutori e fiancheggiatori, compreso il posto, in una zona balneare di Siracusa, dove, subito dopo il delitto, si radunarono gli esecutori per sfuggire ai posti di blocco. Un’auto in prestito avrebbe causato la morte dell’uomo sbagliato. Ma subito dopo il delitto, si parlò anche di un debito non pagato. Giuseppe Romano, detto Pippo, aveva la passione del gioco delle carte, ma non frequentava bische, ma solo case da gioco private. Gli investigatori seguirono anche la pista passionale per una donna che sarebbe stata indicata agli investigatori da qualcuno che conosceva bene Pippo Romano. Ma tutte le ipotesi delle indagini finirono in un nulla di fatto. Ora le dichiarazioni dei nuovi collaboranti di giustizia hanno fatto riaffiorare il caso.

La Dda ha riaperto i fascicoli d’indagini per gli omicidi rimasti a tutt’oggi impuniti, di Concetto Scatà, ucciso a colpi di pistola all’uscita del night Malibù; di Maurizio Strano, avvenuto nel febbraio del 1995 in Via costanza Bruno, nello stesso contesto della guerra di mafia; di Mario Bianca, detto “bumma”, assassinato sulla “Maremonti” a colpi di pistola mentre si era appartato per soddisfare a esigenze fisiologiche. E ancora dell’omicidio impunito di Angelo Campisi, detto “‘u martufu”, di Salvatore Zappulla, assassinato all’interno di una sala ricreativa di piazza Adda nel settembre del 2005, con un colpo secco alla nuca da un killer solitario mentre giocava a videopoker.

Nel lungo e articolato racconto dei collaboranti di giustizia si parlerebbe anche dei tentati omicidi contro Emanuele Montalto, detto “burattino”, del rivenditore di moto, Daniele Tricomi, e dell’attentato intimidatorio, avvenuto nella centralissima piazza Adda, contro l’automobile del direttore del carcere di Brucoli, Antonio Gelardi.

Concetto Alota

(Tratto dal settimanale “100NOVE”)

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