AttualitàCronacaPoliticaPrimo Piano

La Storia. La morte di Salvo Lima, Andreotti, la mafia-politica e i grandi appalti nella Sicilia corrotta

index

L’omicidio di Salvo Lima fu un messaggio chiaro alla politica scritto con il sangue; anche Siracusa fu colpita da quel lutto, dove aveva tanti amici nella politica della corrente andreottiana di cui era il leader indiscusso in Sicilia. Era il 12 marzo del 1992 alle 9.20 quando Salvo Lima esce dal cancello della sua villa in viale delle Palme con il loden verde sulle spalle nella località di Mondello a Palermo dove fa ancora freddo. I due killer che hanno ancora nelle orecchie l’ordine perentorio dato loro qualche giorno prima da Totò Riina sono appostati dietro il curvone. Nella località balneare a quell’ora nella parte alta di Valdesi c’è poca gente. Dall’altra parte del marciapiede, ad attendere Lima che esce da casa con il suo amico Alfredo Li Vecchi, professore universitario, c’è una Opel Vectra con un uomo in giacca e cravatta. È Nando Liggio, assessore provinciale al Patrimonio, anche lui amico dell’europarlamentare e come lui esponente della corrente andreottiana della Dc. Devono andare insieme all’hotel Palace a organizzare la due giorni di convegno in cui è atteso il leader Giulio Andreotti. Non si accorgono di quella moto di grossa cilindrata che si avvicina. Salvo Lima, seduto accanto al sedile di guida, vede però i due giovani con giubbotti e caschi integrali, vede la pistola puntata al finestrino, sente esplodere i primi colpi che falliscono il bersaglio. La macchina frena, i tre uomini con il cuore in gola fanno quello che suggerisce loro l’istinto, scappano. “Tornano, Madonna santa, tornano… “, sono le ultime parole di Salvo Lima quando vede la moto fare inversione di marcia e puntare sull’auto. Salvo Lima apre lo sportello e, nonostante la mole imponente, corre, dando le spalle ai killer. La moto fa il giro e stavolta i killer non sbagliano: due, tre colpi, l’ultimo di grazia alla testa, una perfetta esecuzione in stile mafioso perché il messaggio sia chiaro.

I due testimoni rimangono terrorizzati a terra, nascosti dai cassonetti dell’immondizia dietro i quali si sono catapultati cercando riparo e pregando ad occhi chiusi perché i sicari li risparmiano. I poliziotti arrivano cinque minuti dopo avvertiti da una telefonata al 113 li trovano ancora a terra, inginocchiati e tremanti. Piangono e non osano avvicinarsi al cadavere del loro amico immerso in una pozza di sangue.
“Ero arrivato a Villa Danae quando l’onorevole Lima e il professor Li Vecchi stavano già per uscire. Dovevano recarsi all’hotel Palace per concordare gli ultimi dettagli di una grande festa in onore di Giulio Andreotti. Mi hanno chiesto di accompagnarli e ho accettato – racconterà Liggio – Abbiamo imboccato via delle Palme. Non ci siamo accorti di nulla. All’improvviso, i primi tre spari che hanno raggiunto il parabrezza, il finestrino laterale e una ruota. Nessuno, almeno così mi sembra, è stato raggiunto dai proiettili. Io, che stavo leggendo il giornale, non ho avuto il tempo di capire. Ho sentito soltanto le ultime parole di Salvo e l’ho visto scappare a piedi. È  riuscito a percorrere una trentina di metri, ma è stato raggiunto da un killer che lo ha finito con un colpo alla nuca. Poi con Li Vecchi siamo scesi e ci siamo nascosti dietro i cassonetti. Solo quando non abbiamo sentito più sparare e il rombo della moto che andava via abbiamo capito che ci avevano risparmiato”.
È la prima anomalia di un delitto sulla cui firma non c’è alcun dubbio sin dall’inizio: i testimoni oculari lasciati in vita, anche la moto utilizzata dai killer, una Honda, non viene bruciata. Verrà ritrovata poco dopo non distante, rubata tre anni prima e conservata nell’autoparco che Cosa nostra teneva sempre pronto per i suoi delitti. Ma non c’è nulla di misterioso in quell’omicidio, gli investigatori ricordano subito illustri precedenti in cui altre persone in compagnia della vittima predestinata sono state risparmiate: l’omicidio del segretario della Dc Michele Reina, con la moglie e due amici, e Piersanti Mattarella, ucciso in macchina mentre stava andando a messa con la famiglia. Neanche il movente è misterioso.
Sin dall’inizio i magistrati della Procura di Palermo in quel momento guidata da Pietro Giammanco sanno benissimo che è l’inizio della resa dei conti, che Salvo Lima è stato chiamato a pagare gli impegni non onorati con Cosa nostra. Le dichiarazioni dei pentiti, a cominciare da quelle dei due killer che hanno commesso l’omicidio, arriveranno solo dopo, ma le condanne del maxiprocesso sono tutte lì e bruciano sulla pelle di Cosa nostra. “Bisogna rileggere la nostra requisitoria sui delitti politici – dice subito a caldo il procuratore Giammanco, prima o poi i conti si pagano”.

La morte di Salvo Lima segnò un solco insormontabile tra la politica e la mafia non solo in Sicilia, ma in tutta Italia. Non fu più la stessa cosa. Fu considerato dagli osservatori uno dei più gravi errori che la mafia di Totò Riina mise in campo solo per dimostrare la forza del suo operare, con un comportamento violento e sanguinario, per dimostrare che poteva colpire in qualsiasi momento e a tutti i livelli.

Salvo Lima era un uomo di forte levatura politica; a Siracusa era molto conosciuto negli ambienti della Democrazia Cristiana; amico personale dell’onorevole Luigi Foti che era il rappresentante della corrente andreottiana nella provincia di Siracusa all’epoca dei fatti.

Concetto Alota

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *