Cultura

La Pillirina, una fanciulla che trasforma una bella storia in una tragica leggenda

Ci sono luoghi intrisi di fascino naturale la cui bellezza annulla i sensi e lascia l’anima in un oblio ineludibile che sbalordisce e abbandona il pensiero nel completo edonismo privandolo di ogni ragionevolezza. È ciò che si prova davanti all’incanto di una spiaggetta denominata a Pillirina, che affonda le radici in una leggenda che di vero o di fittizio, nessuno lo può testimoniare.

Concettina era bella.  I suoi lunghi capelli corvini le ricadevano sulle spalle e con i boccoli che le disegnavano il viso,  pareva una figura uscita da una cartolina.

Lei non ci badava. Solo quando le dicevano di sembrare napupidda, le sue gote s’accendevano come fuoco. Era il vanto di Donna Felicita e don Cammelu, u cerusico. Per lei era già stato predisposto tutto, anchele nozze che sarebbero arrivate presto.

Il corredo era bello epreparatu. Si cominciava a confezionarlofin subito dopo la nascita e il suo, era degno di una barunedda: tre vistini per la mattina e tre per la sera, due scialli e due paia di scarpe, un paio per l’estate e un paio per l’inverno.

Anche il marito…era pronto. Si attendeva solo la promessa ufficiale. Ma quella, poteva ancora aspettare. Per ora. Mancava un anno al compimento dei sedici anni e non prima, potevano imparentarsi con i Carbonaro, una famiglia bene in vista della città.  Fino ad allora c’era il saluto, a rivirinzae un tacito accordo. Anche il giovane Carbonaro era contento. Il suo futuro era già stato scritto. Dopu u pezzuri catta, lo aspettava un posto di ragioniere nel gabinetto del sindaco. E poi le nozze con Concettina.

Il loro non era vero amore, ma erano state le famiglie a decidere.L’amore sarebbe venuto dopo e anche  i figli. Così era e così si doveva fare.

Concettina viveva le sue giornate in attesa della promessa. Tutto il resto contava poco. Nel vespero, tra gli effluvi di zagara e gelsomino, era solita andare presso una signora, com’era d’uso in quei tempi, a imparare l’arte del ricamo e del cucito.Nafigghia, ri  tutto rispetto,avia asapiricusiri e macariricamari.Nel tempo libero stava con le amiche davanti l’uscio di casa a ciaccolare come i fimmini sanno fare.

 E così le giovani fimmineddi, tra na chiacchierata e nautra, si mettevano davanti la porta di casa a cusiri, ora nulinzolo, ora natuvagghia. Le giornate passavano così …e così passavano le giornate.

D’inverno invece era un’altra cosa. Si stava intorno alla conca, al calduccio. Le fimmineddi ridevano, ammiccavano, e la madre la’ cataliava con occhio vigilela buona condotta, o meglio ancora,a difendere il buon nome di famiglia.

Il giorno della domenica era speciale, ma anche quello sempre lo stesso. Si andava in chiesa alla messa delle undici con la veste buona. Ci si doveva far vedere da tutti . E tutti si vedevano. Il saluto con tanto di cappello tolto, nasquadriata e poi il solito pettegolezzo. Fu proprio durante una di queste uscite domenicali che Concettina vide lì, appoggiato al palo,  un giovane marinaio.

Uno sguardo, e fu subito amore. I due giovani si innamorarono. Ma doveva essere un amore amaro. Un amore funesto, impossibile, senza speranza. Mai e poi mai i genitori di Concettina avrebbero acconsentito. Un marinaio senza arte né parte che si imparentava con la figlia docerusicu.

Giammai. Come fu e come non fu, nataliata ora enautrataliatadumani, Concettina e il giovane marinaio cominciarono a vedersi.

Di nascosto. Luogo di incontro fu quel pezzo di costa lambita dall’acqua bianca e cristallina con il faro a fare da guardiano. Lì, ogni notte, i due giovani si davano appuntamento e consumavano il loro amore, sognando una vita di gioie.

Passavano così i giorni e pure le settimane. Il rituale era sempre lo stesso. Ma una notte Concettina arrivò prima e si sedette su uno scoglio ad aspettare il giovane marinaio.

Era in compagnia della luna piena che illuminava ogni anfratto e ogni pezzetto della piccola e incantevole spiaggetta.

Concettina aspettava e ancora aspettava. Ma il bel marinaio non arrivava.

Passarono i giorni. Le settimane.

Il marinaio non arrivava.

Concettina era sempre la’ ad attendere seduta sullo stesso scoglio.

Il dolore era tanto. Il dolore si era trasformato in angoscia ed era insopportabile. Così decise di andarlo a cercare e si tuffò la’, tra le onde bianche e schiumose della risacca. Fu allora che Concettina diventò a Pillirina.

Da quel mare la povera pillirina non tornò più. La povera Pillirinafu avvolta tra l’ebbrezza dell’appagamento e la bramosìa di pace, senza resipiscenza.

Si narra, che durante le notti di luna piena, i pescatori vedano i suoi bianchiraggi penetrare tra le fessure della grotta e attraverso un gioco di luci e di ombre, sembra si rifletta l’immagine fatua e leggeradi Concettina a pillirina, seduta poverina  sul suo scoglio ancora ad aspettare colui che mai tornò.

Accussi’si cunta!

Graziella Fortuna

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