AttualitàL'Opinione

Lo scontro tra il potere politico e la magistratura interrompe il lavoro “nell’officina siciliana” dove avanza la corruzione

La Sicilia è stata da sempre officina politica avanzata, dove si sono registrati notevoli sviluppi dal punto di vista economico, sociale e politico. E Siracusa era già in prima fila negli Anni Settanta, con provvedimenti che riportano il nome di Santi Nicita, prima e dopo la sua presidenza della Regione Sicilia, con tutte le criticità possibili, che rimane l’esempio di sviluppo dell’intero territorio dell’Isola. Ma tale supposta condizione, aprì in quegli anni lo scontro tra i due poteri dello Stato: quello politico e quello giudiziario. Nicita si dimette da governatore della Sicilia alla semplice presenza di un avviso di garanzia, per una vicenda già chiusa, e dove altri avevano speculato, lucrato. Una classica polpetta avvelenata. Oggi nessuno si dimette anche alla presenza di provvedimenti che assumono “l’inquisire” di associazione mafiosa. In questi giorni, le luci della ribalta si riaccendono carichi di preoccupazione, per il rinnovato scontro fra la politica e la giustizia. E nella difficile contingenza attuale non si sente davvero il bisogno di un nuovo aggravamento della disputa tra due poteri dello Stato libero e democratico ma carico di contraddizioni. Specialmente se il conflitto è in conclusione più una scaramuccia fra poteri che confrontano differenti ragioni, dove la paura del nuovo malessere istituzionale è carico di polemica, che devasta il terreno dei grossi problemi incatenati alla crisi economica galoppante e globalizzante.

Deve essere annotata la genericità con cui la classe politica ha affrontato il tema, ma continua il problema della corruzione, arrivata a un punto di non ritorno davvero preoccupante. Il fortificarsi dietro la regolamentazione approvata dall’esecutivo politico, che indubbiamente è da salutare con favore, ma non è sufficiente; purtuttavia dà ragione a quella parte della magistratura che è convinta che la lotta alla corruzione sia una questione da codice penale e non di fatti nascosti nella mera lotta politica tra maggioranza e opposizione, falchi e colombe, ma anche dalle lobby di un potere che oggi si scopre nascosto dietro il paravento “dell’antimafia” di facciata. Stride il dolore per le ferite alla democrazia, causate dalla corruzione e dal profitto che scaturisce dalle ruberie alla cassa pubblica in mano a chi riceve il governo della collettività.

Occorre un cambio delle logiche di governo, del potere politico che invade le sfere d’ogni cittadino, riducendo alla fame e alla disperazione chi non può sopravvivere perché licenziato, ammalato, cassaintegrato, cancellato e abbandonato, dalle liste della società, per assistere alle ruberie nella gestione degli immigrati, o chi si organizza in clan per lucrare e speculare. La classe politica dirigente, deve intervenire con il massimo rigore al più presto alla risoluzione del problema “dell’autoriforma”, ma senza la paura che perda consensi. Una lotta scompensata per il predominio di potere fra una frazione di magistrati che si ergono a tutori del recupero della moralità pubblica, e una componente di politici che trattengono il fiato per rilanciare lo sviluppo della nazione Italia a parole, dove bisogna, invece, agire con una certa spontaneità; l’Italia ha oggi la pesante palla al piede della corruzione e del malaffare. Rimane l’amaro in bocca per il semplice fatto che il coinvolgimento alle ruberie nella pubblica amministrazione è quasi totale. E questo non è un buon segno. Questo mal vezzo segna il passo in una sorta del …tanto fan tutti cos. È la morte della democrazia parlamentante, dello Stato libero e democratico, che i nostri padri fondatori hanno costruito con il sangue e la lotta alle sinistre e malvagie dittature.

Concetto Alota

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *