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Avola, estorsione ai dipendenti: bar finito nel mirino della Procura

operazione dei carabinieri e dell’ispettorato del lavoro che hanno scoperto come in una stazione di servizio di Avola con annesso bar, dal 2006 i dipendenti lavoravano per oltre otto ore al giorno, tutti i giorni, senza riposo settimanale o ferie. Dopo avere sopportato per anni di essere pagata con poche centinaia di euro una barista fu licenziata in tronco per avere chiesto un aumento di 100 euro al mese perché aveva avuto un bambino e, col marito disoccupato, non ce la faceva a tirare avanti. Poco dopo un’altra dipendente fu licenziata perché aveva fruito periodi di malattia; anche lei veniva retribuita con qualche centinaio di euro al mese, spesso corrisposti anche in ritardo.

Il malumore che serpeggiava tra i dipendenti fece un’altra vittima pochi mesi dopo, poiché anche uno degli addetti alla pompa di rifornimento venne licenziato per essersi lamentato di una paga troppo bassa per le 12 ore di lavoro al giorno che svolgeva.Oltre ad essere sottopagati, i dipendenti erano costretti a firmare le buste paga con l’importo di ciò che realmente sarebbe spettato loro. Senza potersi lamentare, a pena di licenziamento.La grave situazione prospettata dai denuncianti, che non avevano nemmeno ricevuto il Trattamento di Fine Rapporto rimanendo totalmente privi di fonti di sostentamento, venne denunciata all’Ispettorato del Lavoro nel Maggio 2015.

I Militari del Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro di Siracusa, al termine di una attività di indagine coordinata dal Sostituto Procuratore Margherita Brianese, hanno ricomposto tutti i pezzi del mosaico. A parte le gravose condizioni di lavoro a cui erano sottoposti per evidente sfruttamento, venne alla luce un particolare che rendeva ancora meno edificante il comportamento dei datori di lavoro: a seguito dell’obbligo di rendere tracciabili i pagamenti delle retribuzioni, i dipendenti non vennero più pagati in contante, ma con assegni bancari di importo corrispondente alla busta paga. In realtà, secondo quanto emerso nel corso delle indagini, ai dipendenti veniva imposto di andare immediatamente in banca a scambiare l’assegno per restituire immediatamente circa la metà dello stipendio.

In questo modo l’azienda era formalmente a posto in caso di controllo ispettivo, perché poteva dimostrare di avere retribuito i dipendenti come da contratto, potendo mostrare come riprova l’assegno incassato dai dipendenti che coincideva con la busta paga sottoscritta.

“Quella svolta dai Militari del comparto di specializzazione dell’Arma – dice il Procuratore Capo,  Dott. Francesco Paolo Giordano – è stata una attività attenta ed incisiva nel contrasto allo sfruttamento, specialmente quando i lavoratori subiscono l’umiliazione di andare ad incassare quanto loro dovuto per il lavoro svolto per poi doversene privare in buona parte per non essere licenziati”.

La condizione di bisogno dei lavoratori assicurava alla ditta l’impunità e molteplici vantaggi economici: non solo di poter incassare i soldi in nero estorti ai dipendenti, ma anche di portare in detrazione costi per lavoro dipendente che in realtà non aveva sostenuto e di essere in regola con i contributi poiché di tasca propria non usciva nemmeno un euro. In otto anni, il danno economico causato ai dipendenti è stato quantificato in quasi duecentomila euro ed oltre al danno pure la beffa, perché il Cud dei dipendenti riportava il reddito che avrebbe dovuto essere e che invece non era, con evidenti ripercussioni sui benefici fiscali cui avrebbero avuto invece diritto i lavoratori sottopagati. Le indagini sono state condotte sia mediante la tradizionale attività di controllo dell’azienda, sotto il profilo contributivo e fiscale, sia mediante appostamenti per verificare l’orario di effettivo lavoro dell’unico dipendente ancora assunto. Anche quest’ultimo risultava occupato e retribuito come se lavorasse part-time ed invece svolgeva oltre 12 ore al giorno. L’acquisizione degli assegni presso gli istituti bancari, infine, forniva l’ultimo riscontro al quadro indiziario e pertanto, su richiesta della Procura, il Tribunale di Siracusa disponeva il sequestro preventivo dei beni mobili ed immobili nel possesso dell’azienda in questione, stimati intorno a € 200.000 e la sottoposizione ad Amministrazione Giudiziaria dell’attività. Nella giornata di ieri, i Carabinieri del N.i.l., congiuntamente a Militari del Comando Provinciale dei Carabinieri di Siracusa retto dal Col. Luigi Grasso, hanno eseguito la misura cautelare disposta dall’Autorità Giudiziaria, provvedendo anche al sequestro di conti correnti bancari, denaro contante ed un ingente quantitativo di carburante. L’attenzione dei Carabinieri, da sempre in prima linea per la difesa della legalità, sarà rafforzata nello specifico settore perché la lotta allo sfruttamento è divenuto uno dei punti cardine dell’attività ispettiva e sarà  condotta con ancora maggiore incisività in difesa dei lavoratori.

 

 

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