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Petrolchimico. Guerra all’inquinamento: il pioniere dell’ecologismo don Palmiro Prisutto che combatte da sempre

Nella zona industriale siracusana sul piano delle battaglie contro l’avvelenamento dell’ambiente, c’è sempre stata una linea molto sbilanciata nei 70anni di vita del petrolchimico, tra il potere economico delle industrie in connubio con la politica e i coraggiosi pionieri dell’ecologismo.

La cronaca rispetta il ruolo di tanti pionieri come Don Palmiro Prisutto che si batte contro lo strapotere della lobby della chimica e della raffinazione; spicca don Prisutto per le sue continue denunce, tra la quale l’ultima di seguito riportata.

La premessa conferma che le industrie del petrolchimico siracusano inquinano tanto da essere considerati fuorilegge; la conferma con il sequestro copioso degli impianti, atti irripetibili da parte della Procura di Siracusa, come l’ultimo avvenuto il 12 agosto negli impianti del depuratore consortile di Priolo gestito dall’Ias. Controlli a tappeto, denunce a iosa, ma le industrie continuano a produrre e ogni giorni ci propinano una quantità di veleno attraverso l’aria, la falda acquifera, il mare, la terra. La logica fisica e chimica vuole che è impossibile non inquinare; le raffinerie sono per antonomasia, inquinanti.

I cittadini che vivono nei Sin, come la nostra zona industriale e i dintorni, le aree contaminate più pericolose che lo Stato vorrebbe a parole bonificare, sono colpiti da veleni dieci volte in più rispetto alle zone “normali”. Le industrie e i trafficanti di rifiuti tossici e nocivi, commettono clamorose infrazioni; l’Italia è stata condannata parecchie volte dalla Corte di giustizia europea.

Il profitto, dunque, prende il sopravvento e passa prima d’ogni cosa, di tutto, insomma, alla faccia del degrado ambientale, dei danni alla salute e delle sanzioni applicate all’Italia e ai suoi contribuenti. Il petrolchimico siracusano è considerato tra i più impattanti a livello sanitario, alcuni fatti e circostanze sono già noti alle cronache, mentre altri sono rimasti sempre nella semioscurità. È stato e rimane un luogo da tenere sotto osservazione per le emissioni di ossidi di zolfo e nel passato di mercurio.

Ed ecco una delle ultime denunce di Don Palmiro Prisutto. Questa volta scrive direttamente agli addetti ai lavori delle industrie del petrolchimico siracusano, con una serie di esempi, dati, ricordi e fatti.

Concetto Alota

La lettera integrale di donPalmiro Prisutto

“Caro Operaio della zona industriale di Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa – scrive don Palmiro Prisutto – ho deciso di scriverti questa lettera perché i tuoi datori di lavoro dopo quasi due anni dalla mia lettera aperta del settembre 2017 (e pubblicata sul Web) a loro indirizzata, hanno deciso di non rispondere.

“Quella lettera fu ripresa da vari siti (non solo locali) anche se non da tutti in modo integrale: non ti sarà difficile trovarla.

In essa avanzavo non solo critiche, ma anche delle proposte concrete e fattibili per un lavoro pulito e in grado di mettere le basi per un futuro diverso nel nostro territorio. Purtroppo la loro “non risposta” era prevedibile.

“Ho sentito dire molto spesso soprattutto da cittadini, operai e loro familiari che io sono schierato contro l’industria e che la voglio far chiudere: ti rassicuro subito: non ne ho mai avuta l’intenzione e non ho questo potere. “Questo potere ce l’hanno “altri”, non noi comuni cittadini.

“Volevo dirti pure che non ho mai richiesto di chiudere l’azienda in cui lavori e non intendo farlo neanche adesso anche se questa è un’accusa che spesso mi si fa senza alcun fondamento.

“Ho la piena consapevolezza che con il tuo lavoro porti onestamente a casa il pane, per te, tua moglie e i tuoi figli.

Comprendo bene la tua situazione, quella di chi si sente minacciato di perdere il posto di lavoro in un periodo storico ed economico particolarmente delicato.

“Nel mese di luglio 2017, quando la procura della repubblica di Siracusa sequestrò tre aziende del petrolchimico, (e più recentemente un’altra con l’operazione NO FLY) io non ho affatto esultato come qualcuno prevedeva, anzi ho esternato qualche preoccupazione in più.

“La ritorsione delle aziende contro chi aveva osato mettersi “contro l’industria” poteva consistere nella definitiva chiusura di qualche impianto e relativo licenziamento degli addetti oppure nell’inasprimento del ricatto occupazionale oppure nel non elargire più sul territorio quel tipo di contributi che miravano solo ad addormentare o corrompere le coscienze e a non crearsi altri “nemici”.

“La magistratura, nonostante da tempo fosse attivo il “sistema Siracusa”, dopo almeno due anni di indagini non aveva fatto altro che scoprire “scientificamente” quello che tutti ormai sappiamo: l’industria, purtroppo, inquina; ma dietro l’industria ci sono, non solo soldi e interessi dei proprietari ed anche dello stato, ma anche, e soprattutto, persone che svolgono un lavoro.

“Al di fuori degli stabilimenti l’inquinamento lo subiscono, però, anche quelli che non vi lavorano.

“Sfortunatamente, cari operai, l’inquinamento e le sue conseguenze li subite anche voi che col vostro lavoro li producete. Se da parte vostra c’è la lotta per difendere il vostro posto di lavoro piuttosto che il lavoro, dall’altro ci sono coloro che dicono: “Se tu hai scelto quel lavoro di quel lavoro potrai anche ammalarti e morire; ma io perché dovrei ammalarmi o morire a causa del tuo lavoro?”.

Ormai troviamo perfino nel dna degli operai e dei loro familiari il concetto “che è meglio morire di cancro che di fame”: l’ho sentito ripetere anche ai bambini, ma è una logica assai discutibile che un’altra considerevole parte della popolazione rifiuta e che la spinge a schierarsi dalla parte non favorevole all’industria.

“Ma se ad Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa persino un bambino ormai la pensa così, allora abbiamo raggiunto la soglia del limite tra l’umano e il non-umano. Voi operai ed operatori vari del polo petrolchimico siete esseri umani; non siete né schiavi né animali: ai primi veniva concesso quanto era necessario per sopravvivere e continuare a produrre, agli altri veniva concesso il cibo per farli ingrassare e poi macellarli.

“Se da un lato l’azienda vi da uno stipendio, voi, dall’altro lato, di fronte al ricatto occupazionale da tempo sembrate impotenti, rassegnati: “Ma se chiudessero dove dovremmo andare a lavorare per portare il pane a casa?” Evidentemente quando ad Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa si parla di industria si pensa che esista solo quella con le ciminiere: ma se usciamo fuori da questo territorio, pur rimanendo in Italia, si scopre che esistono altri tipi di industrie senza ciminiere: alimentari, manifatturiere, di trasformazione dei prodotti, ecc. Non abbiamo bisogno solo di benzina, lubrificanti, gasolio, detergenti, energia: abbiamo bisogno di tanto altro: cibo, vestiti, scarpe, occhiali, tecnologia, mobili, mezzi di trasporto, ecc. Paradossalmente perfino il turismo stesso è considerato un’“industria”. E una consistente parte della nostra provincia vive di questo e , per di più, si fregia del titolo di essere “Patrimonio dell’Umanità”.

“Indubbiamente, a nord di Siracusa, stiamo pagando a caro prezzo le conseguenze di scelte ed investimenti miopi fatti (in buona o malafede) circa settanta anni fa, anche se non da noi: ciò che all’inizio degli anni cinquanta per tanti sembrò essere una benedizione, oggi non lo è più.

“Non si può basare l’economia di un territorio solo su un unico settore rischioso da tanti punti di vista: sono convinto che tanti di voi non avrebbero scelto quel lavoro che oggi fate solo se ce ne fossero stati altri tra cui poter scegliere. E chi a livello politico-amministrativo gestisce le fila dell’economia locale si è guardato bene dall’offrire altre alternative, turismo e utilizzo dei nostri beni culturali compresi.

“A tutela dei lavoratori e del lavoro dovrebbero esserci i sindacati, ma da quanto abbiamo visto nell’ultimo periodo, anche queste istituzioni sono in crisi e spesso non sono state più in grado di svolgere quel ruolo di mediazione e tutela per cui erano nate.

Anch’io, a livello personale, sono stato oggetto di attacchi da parte di operai ed esponenti delle vostre aziende solo per il fatto di sensibilizzare la nostra società nei confronti dei problemi etici legati al lavoro. So di operai che sono stati “avvertiti” del fatto che erano troppo vicini a me come persona ed anche alle mie posizioni; ho ascoltato anche “confidenze” di operai che dentro gli stabilimenti hanno dovuto fare controvoglia azioni che anche dal punto di vista giuridico erano certamente passibili di censure. Molte volte è stato evidente che erano stati messi in atto comportamenti che potevano arrecare solo danni alla salute sia vostra sia di chi abitava attorno al perimetro del petrolchimico, magari con il tacito avallo o il censurabile “non intervento” di chi avrebbe dovuto doverosamente vigilare.

“Da più parti e da tempo si vocifera che il “nostro” polo industriale (in gran parte ormai di proprietà extra-italiana) ha gli anni contati: andrà inesorabilmente verso la chiusura, non per colpa o per merito degli ambientalisti, ma per l’inevitabile utilizzo delle energie rinnovabili e il progressivo abbandono dello sfruttamento dei combustibili fossili e le nuove logiche del mercato e del profitto nel campo dell’energia.

“E, come già noi abbiamo negativamente sperimentato, è meglio tenere pulito il proprio territorio e mantenere in casa d’altri le industrie inquinanti. E in caso di chiusura resterebbe anche il problema del carico economico delle bonifiche annunciate, ma mai concretamente effettuate, da chi avrebbe dovuto “spontaneamente” realizzarle.

“Quel polo industriale che dagli anni ‘50 avrebbe dovuto portare nella nostra terra “progresso, sicurezza e benessere”, che avrebbe migliorato la nostra vita, che avrebbe fermato l’emigrazione, oggi non garantisce più nulla di quanto era stato auspicato o promesso. È vero che con i soldi guadagnati lavorando nell’industria vi siete comprati la barca e l’automobile; vi siete fatti la casa e magari la villetta a mare e avete fatto studiare i vostri figli presso università prestigiose, ma questi, ormai, non vivono più qui con voi, e non trovando più lavoro qui, hanno riaperto la piaga dell’emigrazione che un polo petrolchimico di queste dimensioni avrebbe dovuto definitivamente fermare: la Città di Augusta ne è un esempio evidente. Ancor prima di aver conseguito il diploma i giovani dichiarano apertamente che certamente lasceranno Augusta; ad Augusta, poi, non si nasce più; gli abitanti sopravvissuti al cancro invecchiano…. La grande, regale e veneranda Augusta non la si riconosce più: da ridente operosa Città si è avviata a diventare un borgo in decadenza irreversibile. Non saranno gli spettacoli in piazza Duomo e le varie manifestazioni nel centro storico o l’apertura di un altro negozietto o pub, birreria, pizzeria o bar a salvare Augusta o a ripopolare il centro di questa città.

“Mi dispiace che tu, pur sapendo questa verità, minacciato di perdere il lavoro e tradito anche dai tuoi stessi compagni (vittime anche loro di questo ignobile ricatto) debba subire tutto questo senza che abbia alcuna possibilità di poter denunciare o esprimere ciò che effettivamente provi e pensi perché nessuna istituzione ti difenderebbe.

“Oggi, qualora degli operai venissero licenziati, potrebbero esserci ancora proteste; i sindacati intavolerebbero dubbie trattative; i sindaci andrebbero dai prefetti; si chiederebbe l’intervento del ministro di turno; e si chiederebbe probabilmente la solidarietà di tutti gli altri cittadini o colleghi.

“Non credo che oggi, i cittadini di Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa, in caso di malaugurata crisi del petrolchimico, scenderebbero in piazza al vostro fianco.

Il modo di concepire ed attuare il vostro lavoro ha, di fatto, creato una spaccatura tra voi e la popolazione: voi svolgete il vostro lavoro, ma da decenni la gente e lo stesso territorio pagano le conseguenze di questo discutibile “progresso”;   se voi, operai ed operatori del petrolchimico, continuerete lavorare in queste condizioni e a difendere egoisticamente solo il vostro posto di lavoro, trascurando o infischiandovene della posizione del resto della popolazione, qualora la vostra azienda dovesse andare in crisi, difficilmente ricevereste solidarietà, e voi stessi, pur di mantenere il vostro rischioso posto di lavoro, sareste vittime di una guerra fratricida.

“Avete certamente notato che gli occupati nel petrolchimico oggi sono solo qualche migliaio a fronte delle decine di migliaia del passato.

Quando, inevitabilmente, arriverà il momento delle proteste, pensate che la popolazione di Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa solidale con voi? E voi, drasticamente ormai ridotti di numero, nella vertenza per conservare il vostro lavoro, quale forza contrattuale avreste?

“Intanto riflettete sul futuro di questo territorio che da settanta anni subisce la violenza dell’inquinamento: sarà mai possibile tornare indietro? È veramente pensabile ed attuabile un processo di bonifica che azzeri i danni dell’inquinamento?

“Con il vostro lavoro dagli anni cinquanta e sessanta ci fu un diffuso benessere economico; ci fu l’incremento demografico; oggi quel benessere lo si sta pagando a caro prezzo; i nostri giovani (i vostri figli) emigrano; ci sono famiglie che hanno tutti i figli fuori dalla terra in cui sono nati; sono migliaia le case sfitte e vuote; le nostre “città industriali”, Augusta in particolare, sono semideserte: non saranno i bar, i pub, le pizzerie e le birrerie a garantire il lavoro futuro di questo territorio.

“Se il polo petrolchimico di Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa resiste ancora è perché ancora c’è un po’ di succo da spremere; c’è ancora perché l’Italia ha bisogno di quello che qui viene prodotto; c’è ancora perché l’erario italiano non vuole rinunciare a quel consistente introito che da qui ne ricava; c’è ancora perché il “povero operaio” si accontenta di questo posto di lavoro perché non ci sono altre alternative.

“Intanto questa nostra Città, quella che allo stato italiano ogni anno “dona” almeno tra l’1 o 2% del PIL, la prima della provincia, è stata privata di quei molti servizi per i quali una società civile dovrebbe fare di tutto per essere tale: servizi ai cittadini, ospedale, tribunale, ecc.

“Quale sarà il futuro di questa terra e dei suoi abitanti?

“Nella mia ultima lettera rivolta al primo cittadino italiano ho chiesto e lo chiedo anche a te: dovranno abbandonare le loro case (come negli anni ’70 a Marina di Melilli) gli abitanti di Augusta, Priolo Melilli e Siracusa per lasciare questa terra in mano e sotto i piedi delle industrie oggi in gran parte di proprietà sudafricana, russa e algerina?

“Oppure se ne andranno le industrie, lasciando, dopo averlo sfruttato e saccheggiato, un territorio compromesso dall’inquinamento che nessuna bonifica riuscirà mai a far ritornare abitabile?

“I futuri visitatori di questo territorio cosa vedranno? Le ciminiere fumanti circondate dalle rovine di città abbandonate oppure delle splendenti città che mostreranno ai turisti come resti archeologici i ruderi di quello che fu il polo petrolchimico?

“Mentre in questo Paese si sono perfino rivalutati antichi borghi abbandonati; dove perfino i ruderi sono diventati attrazione turistica, Augusta, un tempo bellissima Città, sembra essere un grande borgo che scivola sempre più in un degrado irreversibile: migliaia di case vuote e fatiscenti in svendita; una Città con sempre meno giovani per le vie e le piazze; una città priva e privata di pubbliche strutture socializzanti; una città dove anche lo stadio realizzato con i rifiuti industriali, chiuso da diversi lustri, è diventato simbolo del degrado.

“Una Città, chiamata con l’impareggiabile appellativo Augusta, circondata da un mare splendido senza rivali; un mare che faceva invidia alle più rinomate stazioni balneari nazionali e del Mediterraneo (oggi in gran parte irrimediabilmente inquinato ed irraggiungibile per l’egoismo di qualche illustre e facoltoso personaggio); com’è triste vedere oggi sulla costa i divieti di balneazione del famoso “mare colore dei pavoni” ricordato da Giuseppe Tomasi di Lampedusa; quanto rammarico proviamo nel vedere irreversibilmente inquinato quel mare su cui galleggiavano le monete d’oro scolpito nello stemma di Federico II che vedeva questo mare come una fonte di ricchezza per la Città da lui fondata!

“Inaccettabile non solo sentir ripetere, perfino dai bambini, nutriti dal pane avvelenato del petrolchimico, che è “meglio morire di cancro che di fame”, ma anche sentir dire agli operai, rassegnati, che il polo petrolchimico si avvia inevitabilmente al declino e che all’orizzonte non si intravede alcuna prospettiva positiva per il lavoro e il futuro di questa terra.

“I manifesti funebri, in maniera impietosa, sempre più spesso ci ricordano che l’aspettativa di vita è manifestamente inferiore a quella nazionale, e che la maggior parte dei decessi sono dovuti a patologie correlabili certamente all’inquinamento, eppure, dopo averlo già ridotto, si vorrebbe perfino chiudere il pronto soccorso dell’ospedale insistente in una zona esposta a tanti rischi.

“Presidente, senza usare il linguaggio tipico del politico, ci risponda onestamente ed apertamente: dobbiamo abbandonare la nostra Città e la nostra terra finché siamo in tempo, oppure a questa nostra terra l’intervento sincero ed imparziale di uno Stato degno di questo nome darà una speranza?

“Oppure Lei o un Suo successore verrà, qui, tardivamente per un’altra evitabile ma inutile commemorazione?

“Se i risultati sono quelli che oggi vediamo, e se quelli che avrebbero dovuto difenderci sono quelli non ci hanno voluto ascoltare, allora gli sconfitti sono due: noi e lo Stato; ma prima di tutti quello Stato che ha dovuto soccombere ad un potere che si è rivelato più forte di esso. Ma allora diritto e costituzione a che cosa ancora potrebbero servire?

“Caro operaio di Augusta, Priolo, Melilli e Siracusa, spero che tu abbia il coraggio leggere questa lettera, per intero e magari avere una tua risposta.

Distinti saluti.

Augusta, 19 luglio 2019

Don Prisutto – Parroco ad Augusta

 

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