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Priolo. La nomina del nuovo Cda dell’Ias tra nuovi progetti politici e sogni di gloria

L’opinione – Concetto Alota

Ancora una volta le tematiche dell’Ias svelano allo sfondo i gioghi della politica intelligente a più livelli. Società nella forma consortile, nata per gestire il depuratore del petrolchimico siracusano, diventa un polmone di compensazione a favore della politica, con nomine e assunzioni di uomini impegnati in primo piano. Si arriva al Caso Montante per uscire dal territorio siracusano con una serie di polemiche legate alle nomine dei componenti il Cda, lo stravolgimento dei poteri del presidente e del Cda a favore di un super direttore tecnico, dopo la modifica “forzata” dello Statuto e sul quale si profila un nuovo conflitto tra la parte pubblica e quella privata, specie sulle questioni ambientali. Insisterebbe poi, in sofferenza, il contenzioso sfociato in atti giudiziari per la mancata corresponsione della somme relativamente alla concessione della Regione proprietaria degli impianti di Priolo, dopo anni di silenzi, grida e sussurra. Ma ora i vecchi politicanti di professione avrebbero trovato il vecchio sistema dell’alleanza politica; una sorta di concordia ancora una volta sull’annosa questione della nomina del nuovo Cda, dopo un lungo tira e molla, con accordi e programmi di “cooperazione” con allo sfondo le prossime relazioni e programmi per le competizioni elettorali a più livelli. Incontri e scontri, ma alla fine ha vinto il sempre valido equilibrio del conveniente compromesso politico, pane per i denti dei vecchi volponi della politica, maturi, anziani, in pensione o in vitalizio avanzato, ma in piena attività, senza mai considerare il ruolo e lo spazio alle nuove leve, relegati al ruolo di gregari.

Dunque, l’assemblea dei soci dell’Ias ha completato, salvo colpi di scena del giorno dopo, le nomine dei componenti il nuovo consiglio d’amministrazione della società che gestisce il depuratore consortile di Priolo. L’adunanza ha ratificato le nomine avanzate dal commissario straordinario del consorzio Asi di Siracusa, Achille Piritore: Patrizia Brundo, di Avola, è stata confermata presidente, mentre gli altri due consiglieri, nominati dall’Asi (sempre per la parte pubblica dell’Ias), sono Milena Contento di Augusta, attuale consigliera comunale e, in passato, per sette anni assessore nel comune megarese, e il navigato uomo politico Pippo Sorbello, già parlamentare regionale, che dal maggio 2008 al luglio 2009 ha ricoperto anche la carica di assessore regionale al Territorio e Ambiente, oltre che sindaco del comune di Melilli. Contento e Sorbello, sostituiscono il ragusano Giovanni Occhipinti e l’augustana Silvia Belfiore che sono decaduti per la necessari mancanza dei requisiti per ricoprire tale carica, cosa che nel passato nessuno avrebbe visto o sentito. Cda dell’Ias che si completa con la riconferma dell’ingegner Luigi Scalisi, in quota ai soci privati, cioè le industrie del Petrolchimico, e dall’ex sindaco di Augusta, Massimo Carrubba, in quota comune di Melilli.

Come si ricorderà, l’Ias è coinvolta in prima fila nell’inchiesta “No Fly”; fascicolo per il quale la Procura di Siracusa ha notificato poche settimane fa la chiusura dell’indagine del primo troncone dell’inchiesta, mettendo una pietra miliare sulla lotta all’inquinamento selvaggio, rimanendo aperto ancora un troncone d’indagine che a sentire i bene informati, sarebbe molto più insidioso di quello appena chiuso. L’avviso di conclusione indagine nei confronti di quattro aziende dell’area del petrolchimico siracusano e diciotto indagati di reato fra dirigenti e funzionari delle stesse imprese, chiude il cerchio su un periodo nero fatto di tergiversi e connubi. La notifica è avvenuta lo scorso 12 febbraio attraverso gli avvocati difensori degli indagati, ma la notizie è trapelata nei giorni scorsi. Questa volta quello della Procura appare come un deciso atto di forza al contrasto all’inquinamento nel territorio del petrolchimico siracusano.

L’accusa iniziale è quella d’inquinamento ambientale in concorso. I dati di analisi raccolti da consulenti e tecnici hanno, nella buona sostanza, rilevato “concentrazioni stabilmente elevate delle sostanze” prese in considerazione dalle misurazioni effettuati presso le centraline di rilevamento; “ripetuti eventi di picchi di l’elevata concentrazione d’inquinanti”, la mancata utilizzazione delle “migliori tecniche disponibili” da parte dei responsabili degli stabilimenti. In sintesi, gli stessi consulenti tecnici hanno altresì evidenziato di avere raccolto elementi che “inducono a ritenere che la qualità dell’aria nel territorio interessato si sia fortemente degradata”, rilevando come “nei comuni di Priolo Gargallo, Augusta e in parte Melilli si registra una qualità dell’aria nettamente inferiore a quella degli altri Comuni della provincia, avuto riguardo ai vari inquinanti presi in considerazione”.

Scrivono i magistrati: “(…) un contributo rilevante al deterioramento significativo e misurabile della matrice “aria” nella porzione di territorio dei Comuni della Provincia di Siracusa già definita ad elevato rischio ambientale e, in buona parte, qualificata come Sito di Interesse Nazionale in relazione a detto rischio ambientale con Decreto del Ministero dell’Ambiente 19/01/2000, pubblicato in G.U. il 23/02/2000 (Istituzione Sin Priolo Gargallo). Con l’aggravante di aver commesso il fatto nonostante la previsione dell’evento. Fatti commessi in Priolo, Melilli, Augusta e Siracusa, dal momento delle rispettive nomine in avanti, condotta in corso, ricadute su vasta area”.

La ripresa delle indagini dopo una breve pausa dettata dall’epidemia da Covid-19 lasciava sperare i necessari chiarimenti sulla grave situazione che ormai è diventata improcrastinabile. La puzza e i miasmi si sono addirittura aggravati e la situazione appare fuori controllo, con l’angoscia della popolazione residente costretta a vivere tra miasmi, fumi e bolle di gas velenosi in libertà. Filone ancora aperto a cui lavorano la Guardia di finanza, il Nictas, l’Arpa e consulenti della Procura di Siracusa; gli investigatori hanno fatto la spola tra gli impianti delle industrie sotto inchiesta e i depuratori, compreso quello consortile di Priolo, gestito dall’Ias in cui le visite degli investigatori sono state davvero copiose, con acquisizione, non solo nella sede dello stabilimento di Priolo, con atti irripetibili, prelievi e foto. Una corposa documentazione riversata su tavoli della Procura.

I nuovi riscontri investigativi appurati, si baserebbero su alcune logiche deduzioni o di probabili delatori scaturiti in una sorta di scatole cinesi in cui ci sarebbero per alcune società, le attività e le adunanze dei consigli di amministrazione, a partire dagli ultimi 5/6 anni, oltre al possibile inquinamento, smaltimento dei rifiuti, dei fanghi, del percolato, la manutenzione e l’appalto dei lavori. Acquisiti dagli inquirenti deliberazioni, verbali e nomine da comparare con la tempistica per stabilire eventuali responsabilità in ordine ai fatti sottoposti dagli inquirenti ad approfondimenti.

E ancora, le attenzioni verso le sostanze utilizzate in tali cicli o aggiunte ai prodotti finali e infine alle sostanze di scarto raccolte come rifiuti o emesse nell’ambiente, compreso i reflui industriali e fognari trattati nei depuratori, scarti bruciati e scaricati in torcia.

L’accusa all’inizio era d’inquinamento ambientale in concorso, ma per alcune società, le indagini si sarebbero allargate, oltre all’inquinamento dell’ambiente, anche alle tematiche dell’appalto dei lavori e alla possibile ritardata manutenzione degli impianti fino al possibile deperimento e cattivo funzionamento.

Il procuratore aggiunto Fabio Scavone e i pubblici ministeri Tommaso Pagano e Salvatore Grillo hanno chiuso così il cerchio delle indagini sull’emissione delle sostanze odorigene nell’atmosfera ritenendo confermata l’ipotesi che le imprese abbiano omesso di adattare gli impianti alle prestazioni attendibili in base alle migliori tecniche disponibili e di attuare le misure tecniche necessarie per contenere le emissioni, provocando lo sversamento nell’aria di quantitativi di sostanze inquinanti connotate da odore molesto.

L’avviso di conclusione indagine riguarda le aziende Versalis, Sasol Italy, Priolo Servizi e Ias (Industria Acqua Siracusana). I reati contestati, a vario titolo, sono di molestia provocata da emissione in concorso, inquinamento ambientale, delitti colposi contro l’ambiente”.

Le accuse a vario titolo sono di “avere omesso di adoperarsi per la copertura le superfici delle vasche di trattamento delle acque reflue oleose ancora scoperte; la mancata manutenzione e sostituzione delle coperture dei serbatoi per lo stoccaggio; la mancata captazione dei vapori emessi nelle operazioni di carico e scarico dei prodotti petroliferi”. Ciò avrebbe comportato “concentrazioni significative” di idrocarburi aromatici, tra i quali il benzene con picchi anche di oltre 500 microgrammi per metro cubo a fronte di un limite medio annuo di 5 microgrammi; di non avere osservato le prescrizioni dell’Aia, autorizzazione integrata ambientale, con riferimento “ai valori limite di emissione in relazione ai parametri relativi alla concentrazione delle sostanze inquinanti” i cui parametri sarebbero stati superati in diverse ciminiere contribuendo al “deterioramento significativo” dell’aria. Non si sarebbero adoperati “per il completamento delle soluzioni impiantistiche idonee a contenere la generazione di emissioni diffuse d’inquinanti e odorigene”.

Più complesso appare il quadro d’indagine che riguarda proprio l’Ias, la società che gestisce il depuratore biologico di Priolo. Sono dodici tra dirigenti, procuratori, tecnici, rappresentanti e funzionari ai quali la Procura ha notificato l’avviso di conclusione indagini. Le accuse: mancato rispetto delle normative ambientali; per non essere intervenuti pur essendo consapevoli “del fatto che l’impianto di captazione degli odori collaudato tra il 2004 e il 2007 non fosse mai entrato in funzione”. L’avviso di conclusione indagini riguarda anche i consiglieri d’amministrazione della Società Ias che Gestisce il depuratore che si sono succeduti dal 2014 al 2016.

La Procura di Siracusa, diretta dal procuratore capo Sabrina Gambino (nella foto), intende accertare se gli impianti di raffinazione del petrolio e della depurazione dei reflui industriali e civili possano essere considerati fonti di esposizione da inquinanti ambientali, dannosi per la vita degli esseri umani. La domanda che si pongono gli inquirenti è se lavorazione del petrolio e dei suoi derivati possa comportare rischi per le persone che siano esposte agli effetti dei prodotti finali fuori controllo, gas combustibili, zolfo, Gpl, benzine, gasoli, oli, bitumi e altri prodotti intermedi nei vari cicli tecnologici e di distillazione, cracking, reforming. E ancora, alle sostanze utilizzate in tali cicli o aggiunte ai prodotti finali e infine alle sostanze di scarto raccolte come rifiuti o emesse nell’ambiente, compreso i reflui industriali e fognari trattati nei depuratori, scarti bruciati e scaricati in torcia.

Sulla scrivania degli inquirenti ci sono anche gli studi tossicologici sulle sostanze cui i lavoratori del settore possano essere stati esposti; studi basati sia su sperimentazioni animali sia sui risultati di approfondimenti epidemiologici effettuati su operatori potenzialmente esposti a olio crudo e agli elementi volatili. Tutte queste sostanze sono giocoforza presenti negli impianti dell’Ias, così come negli altri depuratori della zona industriale, in cui sono convogliati i reflui della produzione industriale; una sorta di pozzo nero generale. Ed è su questo e altri aspetti che la Procura intende fare chiarezza.

I tre consulenti nominati dalla Procura a seguito di controlli e indagini sul campo avevano rilevato “un preoccupante divario tra le prescrizioni imposte dai documenti autorizzativi e le effettive condizioni di concreto esercizio degli impianti, risultati vetusti, privi di fondamentali accorgimenti per l’abbattimento delle emissioni diffuse nonché privi del previsto sistema di monitoraggio in continuo delle cosiddette emissioni convogliate”.

Secondo fonti dagli ambienti giudiziari, la situazione ritenuta più critica rimane quella della gestione del depuratore consortile di Priolo. La Procura ha chiesto alla società consortile Ias, la riduzione delle emissioni provenienti dall’impianto mediante la progettazione di uno o più sistemi per la captazione e l’abbattimento degli odori prodotti dall’impianto, o tramite adeguamento dell’impianto di deodorizzazione costruito e mai entrato in funzione, o attraverso una nuova progettazione e realizzazione di un altro impianto idoneo ed efficace allo scopo.  Il vertice dell’Ias ha aderito alle prescrizioni e i tecnici hanno depositato il progetto di mitigazione del problema relativo all’emissione di sostanze odorigene in atmosfera. Progetto che prevede la copertura delle vasche in cui confluiscono i reflui prodotti dagli stabilimenti del petrolchimico e quelli civili, in modo da annullare l’emissione di sostanze odorigene che provocano disagio tra la popolazione. Ma a che punto sono i lavori, non è dato sapere.

Si innesta all’orizzonte su alcuni degli indagati a più livelli, l’accusa di “culpa in vigilando”, espressione latina traducibile con “colpa nella vigilanza”, è, in diritto, la colpa conseguente alla mancata sorveglianza nei casi in cui quest’ultima rientri espressamente nei propri doveri di responsabilità oggettiva. Ma in alcuni casi dell’inchiesta “No Fly” e nel filone d’indagine ancora aperto, i diretti interessati avrebbero per iscritto e più volte richiesto, addirittura trascritto nei verbali delle adunanze dei vari consigli di amministrazione, ai tecnici incaricati alla conduzione degli impianti, lo stato dei sistemi produttivi e il possibile inquinamento, senza però ricevere quanto richiesto. Fatto che è stato scoperto anche dagli investigatori sulle carte acquisite. Si profila in questo caso, la differenziale condizione di forza. I pm titolari dell’inchiesta, sicuramente adopereranno i risvolti di siffatta condizione, per confermare quanto sostenuto dalle indagini. Insomma, una sorta di super testimoni, per confermare le colpe diffuse nel voler nascondere anche ai vertici delle aziende incriminate, l’inquinamento selvaggio, con l’assoluzione per i vertici aziendali.  

È questo un dramma senza fine, carico di dolore, malati e morti a causa di brutte malattie e tumori. Succede all’interno dei luoghi di lavoro, in famiglia, negli spazi di aggregazione. Di solito si subisce con una forte sofferenza interna per paura di essere coinvolti ancor di più in situazioni poco edificanti. La sociologia pratica assume, oggi più che mai, gli aspetti di un fenomeno diffuso, ma con la dovuta riflessione della sintesi intrinseca nella falsa società in cui viviamo e di una politica incapace.

Tutto si svolge in un clima velenoso, amaro, avvilente a tratti misterioso in un bosco di alterazione e menzogne, con tanti giochi di potere e montagne di soldi sparsi in lungo e in largo per la Sicilia dei gattopardi. Infatti, niente cambia e tutto rimane avvolto dalla vecchia e poco salutare putrefazione della corruzione galoppante.

Tralasciando buona parte dei fatti di cui si sta occupando la magistratura inquirente, la memoria ci riporta alla “fantastica realtà”; nel sito del depuratore gestito dall’Ias esiste un impianto chiamato “di deodorizzazione” collaudato nel 2005 e mai andato in marcia. È la sintesi di uno scandalo messo a tacere. Nel 2014 l’impianto di deodorizzazione (nella foto sopra) prende forma; costato milioni di euro e realizzato dall’ex consorzio Asi, proprietario del depuratore di Priolo, con l’intervento successivo di una buona somma anche da parte dell’Ias e con fondi del ministero dell’Ambiente consegnato alla fine all’Ias, ma nessuno denunciò a caldo la frode. Aveva lo scopo di risolvere il problema dei cattivi odori nei comuni adiacenti all’area industriale per migliorare la qualità dell’aria che respirano i cittadini, ma anche dei dipendenti avvelenati notte e giorni da aria nauseabonda con la puzza di veleni industriali. Lo studio sul motivo del perché quell’impianto di deodorizzazione non ha mai funzionato fu affidato dall’ex presidente dell’Ias, Sara Battiato, al professore di ingegneria civile e meccanica dell’Università di Trento, Gianni Andreottola, che confermò che si tratta di “un impianto non idoneo ad eliminare i cattivi odori provenienti dal sistema di depurazione”. Insomma, un fallimento con danni alle casse dello Stato senza che nessuno ha mai pagato per il danno erariale nel silenzio generale.

La logica che insiste nel rappresentare tale siffatta condizione, rimane che solo i poveri periscono di fronte all’arroganza del potere politico-economico, stavolta rappresentato da politici senza scrupoli e dai “movimenti” della politica regionale, rea di creare mostri mangia soldi, negli interessi della casta, in dispregio al popolo.

E questo, non solo perché contrari o rei di aver disturbato il manovratore, o più di uno che fa parte del “Sistema”. Tutto si svolge in un clima velenoso, amaro, avvilente a tratti misterioso in un bosco di alterazione e menzogne, con tanti giochi di potere sparsi in lungo e in largo per la Sicilia dei gattopardi.

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