Rapinò una gioielleria: siracusano sconta 5 anni
Con volto travisato ed armato di pistola, cinque anni fa rapinò una gioielleria in viale Zecchino arraffando un bottino in gioielli del valore complessivo di 74mila euro. E’ divenuta definitiva la condanna per il siracusano Antonino Mauro di 26 anni, che è stato acciuffato dai carabinieri per tradurlo nella casa circondariale di Cavadonna per scontare la pena di 5 anni di reclusione.
Mauro era stato condannato due anni fa dal gup del tribunale di Siracusa, insieme con una coppia che aveva spalleggiato il rapinatore. Le indagini sono state eseguite dai poliziotti della squadra mobile che hanno ricostruito la dinamica della rapina ai danni della gioielleria Piccione di viale Zecchino, avvenuta il 4 novembre 2016. Quella sera una giovane coppia, Caniglia e Tringali, si era recata in gioielleria fingendo di mostrarsi interessata all’acquisto di un anello con diamante. Mentre il gioielliere era distratto dai clienti, due persone erano entrate nel negozio armati di una pistola e a volto travisato. Uno di loro, dopo aver picchiato il gioielliere con calci e pugni e averlo colpito al capo con il calcio della pistola, aveva puntato l’arma nei confronti della vittima, costringendola a consegnare loro i gioielli che aveva prelevato dalla cassaforte per mostrarli ai clienti per un valore pari a circa 74mila euro oltre il suo stesso telefono cellulare.
Durante la fuga, il titolare della gioielleria era riuscito ad afferrare il cappuccio della felpa indossata da uno dei due, scoprendone il volto. Le telecamere del sistema di videosorveglianza della gioielleria avevano immortalato i due soggetti e uno di essi era stato ritenuto molto simile a Mauro.
Le analisi biologiche eseguite sul passamontagna avevano evidenziato la presenza del Dna una traccia minima compatibile con quello di Mauro. L’attività di indagine, si è avvalsa delle intercettazioni ambientali e telefoniche, evidenziando un quadro indiziario di responsabilità anche a carico dei due avventori Caniglia e Tringali. Nelle conversazioni Mauro temeva di essere scoperto mentre uno degli indagati confessava il proprio coinvolgimento.