Portopalo di Capo Passero (SR). Malgrado la sentenza del TAR di qualche giorno fa darebbe il via libera alla costruzione del resort all’isola di Capo Passero, sito paesaggisticamente, naturalisticamente e archeologicamente rilevantissimo, l’entusiasmo con cui alcuni soggetti hanno accolto la notizia ci è sembrato eccessivo visto che ci sono ancora due ordini di giudizio a cui potersi rivolgere: il Consiglio di Giustizia Amministrativa e il Consiglio di Stato.
È risaputo che il TAR non esprime pareri tecnici: nella sentenza si è limitato a dichiarare nullo, per motivi procedurali, il provvedimento con cui l’Assessorato regionale ai Beni Culturali accoglieva il ricorso gerarchico di Legambiente e revocava in autotutela il nulla osta paesaggistico rilasciato dalla Soprintendenza di Siracusa, a firma di Rosalba Panvini.
La vicenda adesso non è tutta a favore dei costruttori. A questi ultimi spetta sciogliere i seguenti nodi:
1) come faranno a dimostrare che non cambieranno la destinazione d’uso dei fabbricati e che non eseguiranno movimenti terra, considerato che devono ricavare 18 suite e un ristorante di eccellenza? Questi vincoli sono quelli derivati dal livello di tutela 3 (massimo) del Piano Paesaggistico. Ricordiamo che i locali esistenti sono parte della plurisecolare tonnara di Capo Passero (l’altra è sulla terraferma) e che possono essere ristrutturati solo per rimanere tali. A chi nega l’evidenza dicendo che le costruzioni non hanno alcun valore etnoantropologico, ricordiamo che nel “varcarizzu” ci sono ancora ricoverate le nere imbarcazioni (muciare e scieri) della tonnara. Sull’isola inoltre non esistono opere di urbanizzazione: realizzare la rete elettrica, idrica e fognaria comporterà inevitabilmente profondi scavi e gravissimi movimenti di terra.
2) l’area è anche un Sito di Importanza Comunitaria (SIC ITA 090001), pertanto il progetto deve essere sottoposto a Valutazione di Incidenza;
3) l’isola è deputata a diventare riserva naturale, tanto che dal lontano 1991 è iscritta nel Piano regionale di Parchi e Riserve, e questo già la tutela da qualsiasi speculazione edilizia.
Si ostinano a spacciare per valorizzazione una colata di cemento che cancellerà storia e natura. Trasformare una unicità in un prodotto commerciale e omologante è la scelta peggiore. Per noi i veri benefici economici di questa risorsa si possono ottenere con la semplice istituzione e oculata gestione della riserva naturale, e rendendo fruibile la fortezza spagnola. Distruggendo le bellezze dell’isola verranno a mancare i motivi stessi per cui i turisti dovrebbero scegliere di venire fin qui.
Per chiudere, condividiamo e supportiamo la scelta dei colleghi di Legambiente di ricorrere al CGA e ci auguriamo che il Dipartimento regionale dei Beni Culturali voglia fare altrettanto.