Cronaca

Roma, doppia operazione antimafia: 23 arresti e sequestri per 280 milioni

Una doppia operazione antimafia ha smantellato due associazioni a delinquere radicate a Roma  e in altre regioni. Scoperti i legami con clan della camorra organizzata ed elementi della malavita pugliese. Suggelli a 54 aziende, dove sono coinvolti imprenditori e funzionari di istituti di credito.

Star in ascesa nell’ambiente criminale della capitale, le quasi cinquanta persone – tra arrestati e indagati – colpiti dall’inchiesta Babylonia condotta congiuntamente dal comando provinciale dei Carabinieri della capitale e dal Gico della Guardia di Finanza. Il segno della potenza dei gruppi, legati alla Camorra degli scissionisti e alla Sacra corona unita pugliese, è chiuso nella cifra del sequestro preventivo disposto dalla Dda di Roma contestualmente alle ordinanze di custodia cautelare.

Duecento ottanta milioni di euro, tra 261 immobili, conti correnti e 54 società, oltre ad una rete di locali notturni. Tra questi uno dei centri della movida romana, il Macao di via del Gazometro e la catena di bar Babylon cafe. Holding in mano al livello strettamente mafioso, retto da Gaetano Vitagliano, detto Nino, personaggio di spicco del narcotraffico internazionale e ritenuto contiguo al clan camorrista Amato-Pagano, conosciuto come il gruppo degli “scissionisti”, radicato nella zona nord di Napoli, con un passato vicino al clan Mazzarella.

Dopo la sua scarcerazione da Rebibbia del 2011, stava creando una rete fitta e radicata, puntando soprattutto al riciclaggio, con l’acquisizione di società e la gestione di locali, bar, e slot machine, macchine economiche in grado di sfornare fatturati altissimi. Accanto c’è la “borghesia mafiosa”, caratteristica sempre più romana, fatta di studi di commercialisti, notai, funzionari di banca e pezzi della pubblica amministrazione, pronti a mettersi al servizio di chi ha milioni da riciclare. Una strategia “win to win”, un motore criminale che – visto le cifre sempre più pesanti dei sequestri – sta contaminando la città ormai da anni.

“E investimenti – ha commentato il procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino – che provenivano anche dal territorio romano, dove le organizzazioni criminali si sono radicate”. Una conferma, dunque, non solo dell’utilizzazione – ormai consolidata – di Roma come piazza del riciclaggio, ma di una “città aperta” dove operano direttamente i clan mafiosi.

Gaetano Vitagliano era un vero esperto nel far girare i soldi che provenivano dai clan di Camorra. Già nel 2007 la Dda di Firenze ne aveva chiesto l’arresto, nell’ambito dell’operazione Leopoldo, con l’accusa di aver riciclato a Montecatini Terme somme provenienti dalla famiglia dei Formicola, radicati nei quartieri napoletani di San Giovanni e Teduccio. In quell’indagine la Procura di Firenze accusò Vitagliano di aver riciclato partite di credito sottratte al circuito postale. Poi, nel 2010, torna in carcere colpito da una ordinanza di custodia per traffico di droga.

A Roma “ha costituito un momento centrale dell’excursus criminale – scrive il gip nell’ordinanza eseguita oggi – poiché gli ha consentito di entrare fattivamente in contatto con la criminalità romana”. I soldi della camorra si sono sposati con le reti economiche ed imprenditoriali pronte a tutto che caratterizzano la capitale. Grazie anche alla compiacenza di funzionari bancari, disposti a chiudere più di un occhio.

Una seconda ordinanza di custodia cautelare – eseguita sempre oggi dai Carabinieri di Roma – ha colpito il gruppo criminale capeggiato da Giuseppe Cellamare, legato a Vitagliano attraverso l’imprenditore romano Andrea Scanzani (anche lui arrestato), ritenuto dalla Procura uno dei principali ganci economici utilizzati per riciclare i soldi arrivati dal narcotraffico. Cellamare negli anni ’90 era un elemento di spicco della malavita barese. Diventa collaboratore di giustizia e trasferisce la sua residenza a Monterotondo, comune dell’hinterland romano. Dopo aver lasciato circa dieci anni fa il programma di protezione ha iniziato ad utilizzare la sua fama criminale, occupandosi di recupero dei crediti delle estorsioni e di usura.

Il suo gruppo ha inserito i suoi vecchi uomini di fiducia, specializzati nel compiere spedizioni punitive violente contro le vittime dell’usura e delle estorsioni. Chi non pagava si trovava di fronte la fama criminale dell’ex collaboratore di giustizia e i modi duri dei suoi uomini, con una assoggettamento ritenuto mafioso dalla Dda di Roma. Un gruppo ritenuto particolarmente pericoloso, che aveva accesso a depositi armi, anche da guerra, ed esplosivi.

 

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