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Società & Corruzione. La Sicilia prigioniera dello smaltimento illegale dei rifiuti

La corruzione è paradossalmente l’anima della nostra malata democrazia.

Continua il nostro viaggio tra la Sicilia prigioniera dei rifiuti, dove i depuratori non depurano e l’inquinamento in generale è fuori controllo; il comparto dei rifiuti è in mano alla mafia. La politica in buona parte è corrotta in connubio con la industrie e i baroni della spazzatura. La depurazione delle acque si trova in uno stato spaventoso; il 95% degli impianti si trova con le autorizzazioni scadute e la depurazione avviene con il cattivo funzionamento dei siti di smaltimento che non sono a norma.

Sono tante le Procure della Repubblica in Sicilia, Siracusa compresa, che indagano sullo smaltimento illegale dei rifiuti al fine di conseguire un ingiusto profitto. Un modo per incrementare il volume di affari attraverso fatture false e bolle di accompagnamento dal giro vizioso tra le società coinvolte in lavori mai eseguiti e smaltimenti di rifiuti speciali, percolato e fanghi di risulta mediante operazioni non consentite dal titolo autorizzativo e non ricompresi nell’autorizzazione posseduta, con ingenti risparmi e forti guadagni derivanti a costi meno onerosi rispetto al dovuto; il tutto in collegamento del trasporto e successivo conferimento di rifiuti pericolosi e non pericolosi con le modalità illecite anche di fanghi di depurazione abbandonati illecitamente sui terreni, del percolato e lo smaltimento in mare attraverso il vecchio sistema del bypass. In merito è stata acquisita nelle sedi di diverse società del Petrolchimico nei giorni scorsi una corposa documentazione, con allo sfondo l’attività di smaltimento dei rifiuti, dei fanghi e del percolato, ma a sorpresa anche la documentazione delle attività dei Cda e delle rispettive deliberazioni, oltre al modo e il metodo delle adunanze e tanto altro ancora.  

Le indagini in corso nel territorio siracusano riflettono un sistema organizzato sul modello scientifico in cui già risultano indagati diverse dozzine di persone a vario titolo tra responsabili d’impianti, direttori tecnici e amministratori. Le indagini della Procura con delega ai Carabinieri del Comando Provinciale di Siracusa e ai Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria, unitamente al Noe di Catania ed al Nictas dell’Asp, hanno consentito di accertare come nel periodo intersecato negli anni precedenti negli impianti sotto accusa siano da ricondursi emissioni in atmosfera di natura inquinante e molesta, oltre alla depurazione sospetta con lo smaltimento di fanghi e percolato diluiti direttamente in mare, con alcuni fascicoli d’indagine che si avviano verso la conclusione; ma ora le indagini hanno ripreso la corsa verso il passato, con il possibile coinvolgimento di responsabili di reati commessi a ritroso nel tempo di almeno 5/6 anni.

Le attività investigative coordinate dalla Procura scaturiscono da una serie di esposti e denunce pervenuti, nel tempo, all’ufficio del pubblico ministero, alle forze di polizia e ad altri organi, a seguito dei quali un collegio di consulenti tecnici nominati dalla Procura ha accertato la natura inquinante e molesta, sotto il profilo odorigeno, delle immissioni aeree degli stabilimenti e depuratori del petrolchimico siracusano e non solo; emissioni e cattivi odori che continuano malgrado le inchieste in corso; ma la crisi provocata dal coronavirus ha dato una mano alla popolazione della zona industriale che ha rallentato la marcia degli impianti con la conseguente diminuzione di immissioni nell’atmosfera di fumi e gas. Risultato che si vede e si sente.

Il traffico dei rifiuti generalizzato è un fenomeno che espande la corruzione; il più diffuso è lo smaltimento della spazzatura e degli scarti industriali, il tutto in maniera illegale per un’alta percentuale, così come un’alta quantità di fanghi e percolato che arrivano dai depuratori e dalle discariche senza alcun trattamento per finire nei terreni agricoli con tutto il carico di veleni, come più volte spiegato da queste colonne.

Contro l’Italia ci sono ben quattro procedure di infrazioni europee per le inadempienze sul fronte della depurazione delle acque, con il maggior numero di centri abitati, irregolari situati in Sicilia. Molti comuni, come Augusta, scaricano direttamente in mare in tanti altri casi non c’è neanche la rete fognaria, in altri ancora l’impianto di depurazione è presente ma non funzionante, oppure manca l’autorizzazione allo scarico. Il traffico dei rifiuti è un fenomeno fuori controllo; il più diffuso è lo smaltimento illegale dei fanghi e del percolato che arrivano dai depuratori e dalle discariche senza alcun trattamento e finiscono nei terreni agricoli con tutto il carico di veleni.

Il minimo rischio di tutto ciò è la possibile epidemia di infezioni intestinali. La guardia costiera già in passato ha posto sotto sequestro depuratori in mezza Sicilia. Sotto indagine sono finite tante persone, tra cui 3 funzionari della Regione. Questo è il risultato di una lunga scia inquinante creata negli anni dai comuni che hanno conferito all’impianto di depurazioni una quantità di scarichi molto superiore a quella che era possibile depurare e in molti casi senza alcun trattamento di depurazione. Il risultato di questa azione è stato l’inquinamento di un ampio tratto di costa siciliana. L’Arpa ha registrato più volte valori molto superiori alla media di sostanze nocive con valori che spesso hanno superato per decine o centinaia di volte i limiti previsti dalla legge. I reati contestati riguardano l’omissione di atti d’ufficio, il danno ambientale, la distruzione ed il deturpamento di bellezze naturali ed il reato specifico di inquinamento ambientale. Per il Decreto Legislativo n.152 del 2006 tutti gli insediamenti superiori a 2.000 abitanti, devono essere dotati di reti fognarie attraverso le quali raccogliere gli scarichi delle acque reflue. Gli scarichi devono rispettare gli obiettivi di qualità dei corpi idrici e quindi devono essere sottoposti per l’abbattimento degli inquinanti ad un trattamento appropriato in un impianto di depurazione prima dello sversamento nel corpo di destinazione. Ma non è così.

In Sicilia nel passato (2013) è stata Siracusa la provincia ad avere il primato di mare inquinato e non balneabile, con circa 90 km, seguita da Palermo con 56 km, Messina con 29 km, Caltanissetta con 16, Trapani con 13 km, Catania con 11 km, Agrigento con 8 km e chiude Ragusa con 4 km, secondo i dati forniti dall’assessorato regionale all’ambiente, 227 km della costa è off-limits, su circa 1300 km.  

Concetto Alota

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