Società. Quel sottile filo rosso che separa il diritto alla satira dalla diffamazione
Il sottile filo rosso che registra sempre di più i cattivi rapporti tra la politica, la magistratura e i giornalisti è un tema complesso: il diritto alla difesa, il diritto a informare ed essere informati, la tutela della privacy, compreso il diritto di satira. Occorre quindi trovare un equilibrio tra queste differenti “esigenze” e capire fino a quale punto si può valutare la natura degli interventi nella notizia, specie nelle inchieste dei giornali, dove sono coinvolti a volte uomini politici, giudici e magistrati, considerati, in tema di privilegi accordati, dal potere che rappresentano.
Tra i limiti del diritto di critica non vi sarà, dunque, la veridicità, bensì solo e unicamente la rilevanza sociale, nonché la correttezza espressiva. Non tutte le espressioni forti e pungenti sono valide a configurare responsabilità per chi scrive, essendo richiesta ai fini della configurabilità del delitto a diffamare un’obiettiva capacità offensiva della comunicazione a prescindere dalla sensibilità del soggetto passivo, dove non commette però mai il reato di diffamazione chi rappresenta con espressioni congrue la verità dei fatti, o se può essere considerata uno scherzo oppure no, o solo quando conviene, la satira, dove l’intento della diffamazione non sussiste e consiste solo la volontà della battuta, dello sfottò cosciente della libertà a propagare un fatto tra la realtà delle notizie e la battuta ironica, dove i commenti non sono la consapevolezza della loro attitudine a ledere altrui reputazione, ma orientati a essere ben altra cosa: un fatto prettamente scherzoso, simpatico. Purtuttavia, lo scopo o il motivo di scherzo che si manifesta in modo suscettivo di ledere la reputazione altrui non impedisce l’integrazione del reato sul piano penale e psicologico, e quindi l’attribuzione in un manifesto a un personaggio pubblico di espressioni volgari e di pesante ironia assume comunque carattere diffamatorio; fatto salvo, però, il diritto di satira, dove quella politica, infatti, è il tipo di satira che raccoglie maggiore interesse e consenso presso ogni collettività. Essendo una forma d’arte, il diritto di satira trova riconoscimento nell’articolo 33 della Costituzione, che sancisce la libertà dell’arte. Ma è una forma d’arte caratteristica. Il contenuto tipico del messaggio satirico è lo sbeffeggiamento del suo destinatario, che è a volte collocato in una dimensione spesso grottesca. La satira mette alla berlina il personaggio al di sopra di tutti, l’intoccabile per definizione. Esalta i difetti dell’uomo pubblico ponendolo sullo stesso piano dell’uomo medio. Da questo punto di vista, la satira è un formidabile veicolo di democrazia, perché diventa applicazione del principio di uguaglianza. Non a caso è tollerata persino nei sistemi dispotici, fortemente motivati a mostrare il volto “umano” del regime.
Ciò non toglie, però, che l’autore possa, per libera scelta artistica, basare il contenuto raffinato espressivo dell’opera satirica sulla verità dei fatti, rinunciando ai più ampi spazi creativi del ricorso al concetto di coerenza causale che gli garantirebbe il successo. E’ la cosiddetta “satira verità”, spesso creata a fini di denuncia sociale, che poggiando sulla verità dei fatti è al contempo espressione della libertà di pensiero di cui all’art. 21 della nostra Costituzione. Rinunciando allo stravolgimento dei fatti, la “satira verità” è, giuridicamente asserendo, una forma di satira a basso rischio di lesività, proprio perché trattiene le potenzialità insite nella satira tradizionale. Insomma, un po’ di satira non si nega a nessuno, ma bisogna stare attenti alla suscettibilità e in quale contesto si realizzi.
Concetto Alota