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Viaggio tra i rifiuti in Sicilia. I privati padroni assoluti Siracusa in prima fila, duro colpo al Governo Musumeci sul riordino del settore

Gli interessi e le tematiche sulle discariche dei rifiuti in mano ai privati assestano un duro colpo al governo Musumeci. È la conferma che in Sicilia le discariche e lo smaltimento dei rifiuti e i dintorni con i possibili interessi e affari che ne scaturiscono, sono da sempre sotto l’effetto del condizionamento e dell’infiltrazione mafiosa che “regola” di riflesso anche la politica regionale e nei singoli Comuni. E questo si allarga anche agli appalti e per la raccolta dei rifiuti, dello smaltimento del percolato, sia nel settore urbano sia industriale.

Il governo Musumeci capitombola nel voto segreto all’Ars sulla riforma dei rifiuti che corre il rischio di naufragare. Il parlamento regionale ha bocciato l’articolo uno del disegno di legge che doveva mettere ordine sull’universo rifiuti in Sicilia.

La legge sui rifiuti mira a mettere ordine e contrastare la criminalità organizzata nel settore ma così rischia di essere bloccata per mera condizione di gioco politico tra maggioranza e opposizione; grave se si dovessero scoprire rapporti diretti con i padroni delle discariche e il voto negativo che ha fatto ripiombare indietro la legge tanto sperata per combattere il mostro chiamato ecomafia.

“Chi brinda e ringrazia sono i padroni delle discariche private, in assenza di un piano sui rifiuti che con il disegno di legge presentato dal governo non c’entra un fico secco”, risponde ai lamenti di Musumeci, Claudio Fava più volte chiamato direttamente in causa da Musumeci durante il suo intervento.

“Da due anni – ha proseguito il presidente dell’Antimafia regionale – il governo non ha la forza né la maggioranza per portare in aula un vero piano e intanto autorizza 1,8 milioni di metri cubi in più alle discariche dei Leonardi e proroga di dieci anni la concessione all’Oikos”.

Quello dei rifiuti in Sicilia è un settore fuori dal controllo del governo. Colletti bianchi e consulenti sono finiti sotto processo, unitamente ad elementi sospettati di far parte di sodalizi mafiosi, tutti accomunati da un unico obiettivo: quello dell’interesse di gruppo e personale. Il primo sinistro segnale a seguito d’indagini lunghi e laboriosi il processo si è formalizzato davanti alla prima sezione penale del tribunale di Catania con diciassette imputati, coinvolti a vario titolo nell’inchiesta denominata “Piramidi”, portata a termine dai carabinieri con il coordinamento della Dda di Catania che ipotizza un traffico d’influenze legato alla discarica di rifiuti Cisma Ambiente di contrada Bagali a Melilli. Il gup del tribunale di Catania Antonio Currò, ha accolto la richiesta avanzata dai pubblici ministeri, Andrea Bonomo, Raffaella Vinciguerra e Giuseppe Sturiale rinviando a giudizio tutti quegli imputati che hanno optato di essere processati con il rito ordinario.

Anche l’ex governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, è stato coinvolto in due inchieste sulla gestione di discariche per rifiuti dalla Procura di Catania. Una richiesta – scrive La Sicilia – di rinvio dei Pm di Catania per traffico illecito di rifiuti per le autorizzazioni che firmò nel 2016 per gli impianti della Cisma Ambiente di Melilli, in provincia di Siracusa. La vicenda legata alla Cisma di Melilli riguarda dodici persone indagati a vario titolo. Al centro dell’inchiesta l’autorizzazione concessa affinché la spazzatura, prodotta giornalmente nel siracusano e in provincia di Palermo, fosse conferita nella discarica di Melilli, che riceveva solo rifiuti speciali. Ma il territorio di Melilli rimane sorvegliato speciale e sotto osservazione per i possibili risvolti e le vicende legate alle autorizzazioni di nuovi impianti per il trattamento dei rifiuti e discariche che chiamano in ballo Regione e Comuni nel territorio siracusano.

Un appalto da 3.6 milioni di euro per il periodo fine luglio 2016 e marzo 2017. “L’ex presidente della Regione ha dimostrato – scrive il suo avvocato, Vincenzo Lo Re – di aver firmato le ordinanze dopo aver ricevuto dettagliate relazioni tecniche e anche l’autorizzazione da parte dell’Asp, continuiamo a essere certi dell’estraneità di Crocetta a ogni accusa”. Coinvolti anche gli ex vertici della Cisma (oggi in amministrazione giudiziaria) Antonino e Carmelo Paratore, arrestati nel 2017 nell’operazione “Piramidi” perché al vertice di un “sistema perverso di connivenza e affari tra imprese controllate da Cosa nostra e funzionari infedeli della pubblica amministrazione”.

Il territorio industriale siracusano è finito sotto la lente d’ingrandimento con il sospetto dell’infiltrazione e del metodo mafioso, oltre alla conseguente corruzione e del possibile vincolo associativo. Lo smaltimento illegale dei rifiuti, permessi, decreti per le nuove discariche e per gli impianti di compostaggio sono finiti sotto l’attenzione delle istituzioni Antimafia dello Stato a più livelli. L’audizione degli addetti ai lavori, testimoni, politici, amministratori, dirigenti, attivisti e altri possibili persone informate dei fatti, così come tante impegnati nei comitati e nelle associazioni ambientaliste, uomini delle forze dell’ordine e altri ancora, convocati dalla Commissione d’indagine per accertare la presenza o meno di condizionamento mafioso da parte del Prefetto quale atto dovuto.

Tutto questo succede per il cambio della strategia della mafia con la recente esplosione dell’epidemia del sospetto d’infiltrazione mafiosa nei comuni italiani, nelle Regioni, nel Parlamento, negli appalti per le bonifiche, nelle autorizzazioni rilasciate per nuove discariche e impianti di trattamento dei rifiuti sia industriali sia civili. Tanti i dubbi avanzati, dopo la vicenda Cisma, con denunce ed esposti specie nel territorio di Melilli e i confini limitrofi per le modalità dell’acquisizione e della compra vendita dei terreni, sull’espansione per realizzarne nuove e ampliare le vecchie discariche e impianti di trattamenti dei rifiuti. Indagini a tappeto e le ricerche d’inquirenti e investigatori sui possibili collegamenti tra la politica e l’imprenditoria sull’eventuale speculazione dei terreni in cui sono nati i siti e i possibili nuovi equilibri di forza dell’ecomafia sulla gestione dei rifiuti in generale, compreso, il territorio di Lentini – nella Provincia di Siracusa – spingono oggi i governi al controllo preventivo di elementi mafiosi all’interno dell’istituzione di base e le altre istituzioni elettive.

Dopo l’inchiesta sulla Cisma della Dda di Catania, che ha mandato sotto processo i responsabili di un sistema a scatole cinesi sul traffico dei rifiuti pericolosi e il sequestro da parte della Procura di Siracusa della discarica in contrada Armiggi nel territorio di Lentini, si formalizza ancora una volta la facile penetrazione nel territorio siracusano di un sistema collegato all’ecomafia delle discariche di rifiuti d’ogni genere e natura. Sul traffico e gli interessi sui rifiuti, da sempre registrato nell’area industriale siracusana, si registra ancora una volta l’esistenza di un filo rosso che collega le discariche esistenti nel territorio siracusano con il sistema chiamato ecomafia in Italia. L’ultima operazione della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, con il supporto di numerosi presidi tecnologici e degli investigatori della Squadra Mobile della Questura, del Comando provinciale e del Nucleo Operativo Ecologico dell’Arma dei Carabinieri di Reggio Calabria, eseguiti congiuntamente a quanto contenuto nel decreto di Fermo di indiziato di delitto, n.3017/15 R.G.N.R./D.D.A., a carico di 7 soggetti, ritenuti responsabili a vario titolo dei delitti di associazione mafiosa (cosca Piromalli), concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione e intestazione fittizia di beni, con l’aggravante di cui all’art.7 della Legge n.203 del 1991, e un decreto di sequestro preventivo d’urgenza relativo alle quote azionarie di società operanti nel settore della depurazione e trattamento delle acque, trasporto e compostaggio dei rifiuti speciali non pericolosi in Calabria e in Sicilia.

Nell’operazione sequestrate anche aziende siciliane, tra cui la Irecom Srl, situata in contrada Sabuci tra Augusta e Melilli; la Ofelia Ambiente S.r.l. con sede legale in Catania Via G.A. Catanzaro nr.1; Raco S.r.l. con sede legale in Belpasso (CT) Contrada Gesuiti snc; Meta Service S.r.l. con sede legale in San Giovanni la Punta (CT) Via Monti nr.5; Sicilfert S.r.l. con sede legale in Marsala (TP) Contrada Maimone SS118 Km 12.800.

Sull’Irecom Srl, proprietaria di un impianto per il trattamento e compostaggio dei rifiuti in contrada Sabbuci, lasciando da parte il coinvolgimento nell’operazione della DDA di Reggio Calabria, più volte il Comitato dei cittadini di Contrada Sabuci e i dintorni, ha posto l’attenzione sulle dinamiche di quell’impianto, così per altri nella zona, al Prefetto, al Comune di Melilli e al Sindaco di Augusta, sulle criticità che l’intero territorio registra in merito al trattamento dei rifiuti senza mai aver trovato soluzioni idonee e risposte per la risoluzione dei mille problemi che rimangono da anni irrisolti, con gravi disagi per la popolazione residente. Lamentano lo stato di silenzio istituzionale a tutti i livelli. I rappresentanti del Comitato puntano il dito anche sul Libero Consorzio Comunale di Siracusa, che a loro dire, non ha voluto ascoltare la desiderata della gente residente per le tematiche insistenti per le tante discariche che operano nella zona, con tanti disagi, puzza, miasmi e il percolato che scorre copioso quando piove verso il mar nell’indifferenza generale. Informano, che il Libero Consorzio di Siracusa ha rilasciato il 14 settembre l’autorizzazione alla Irecom Srl di Melilli, per l’impianto dell’attività di trattamento e recupero di rifiuti speciali non pericolosi nel territorio di Augusta in contrada Sabbuci, alla modifica e l’autorizzazione allo scarico delle acque reflue e alle emissioni in atmosfera per gli impianti; provvedimento di adozione dell’Autorizzazione Unica Ambientale DPR n. 59/13. A loro dire, rimangono ancora tanti grossi problemi legati a puzza e miasmi che fuoriescono dalle discariche e dai siti di compostaggio nati come funghi nella zona, infettando e avvelenando terreni e animali al pascolo. Il Comitato di Contrada Sabuci e Bagali, punta il dito sulle mandrie che in transumanza pascolano buona erba gratis dopo gli incendi e la rinascita di foraggio a buon prezzo, nell’indifferenza generale, con l’aggravante di aver denunciato tale siffatta condizione in tutte le salse e a tutti i livelli delle istituzioni, compreso il menefreghismo delle industrie che lasciano i terreni abbandonati con l’erba alta che d’estate prende fuoco, con il grave pericolo quando ciò avviene nelle vicinanze delle raffinerie, com’è già più volte accaduto.

SOLDI FACILI CON DISCARICHE ABUSIVE, RIFIUTI PAGATI A PESO D’ORO E SMALTITI ILLEGALMENTE E DEPURATORI CHE NON DEPURANO

In Italia produciamo troppi rifiuti tossici ma abbiamo pochi impianti per il trattamento dei rifiuti cosiddetti pericolosi. Troppi i rifiuti che si trovano in una situazione critica e spesso devono essere smaltiti nel resto d’Europa, oppure illegalmente. Pochi inceneritori per distruggere i residui tossici sparsi in tutta Italia. Il più piccolo, ironia della sorte, si trova nel territorio industriale del petrolchimico siracusano, ad Augusta, il più grande d’Europa. E se un lato ci sono nella zona tante discariche per rifiuti tossici e nocivi, di fatto, sono insufficienti per una quantità di rifiuti che non si sa dove vanno a finire, compresi lei milioni di tonnellate dei fanghi della depurazione sia urbana sia industriale; ci sono poi il sottogruppo di rifiuti che si trovano sia in quelli urbani sia in quelli speciali sia comprendono i rifiuti pericolosi, che a sua volta necessitano di un’ulteriore tipo di gestione e trattamento.

Per quanto riguarda i rifiuti urbani, quelli classificati come pericolosi sono pochi, individuabili prevalentemente nelle pile scariche e nei medicinali scaduti, antibiotici, speciali e tanti altri ancora, anche se ci sono i contenitori dedicati sono molto ignorati e finiscono nelle discariche comuni, in mare, nella falda acquifera e nella filiera alimentare.

Parlando invece di rifiuti speciali pericolosi, l’elenco si amplia. Sono i rifiuti molto pericolosi, generati dalle attività produttive che contengono al loro interno un’elevata dose di sostanze inquinanti. I micidiali rifiuti tossici e nocivi, che hanno bisogno di essere trattati per divenire, meno pericolosi possibili. La maggioranza dei rifiuti speciali pericolosi prodotta in Italia (quasi il 40%) deriva da attività industriali manifatturiere e del trattamento di rifiuti e risanamento, come la raffinazione del petrolio, le produzioni che utilizzano processi chimici, dei solventi. L’industria metallurgica Come l’ex Ilva di Taranto. La Produzione conciaria e tessile. Il settore medico e veterinario, gli impianti per il trattamento dei rifiuti solidi o per la depurazione dei reflui, sia civili sia industriali, gli oli esausti e tanto altro ancora.

Il Rapporto Ispra del 2018 correla che nel 2016 i rifiuti speciali pericolosi gestiti sono stati solo il 7% del totale dei rifiuti speciali. Solamente nove milioni di tonnellate di rifiuti speciali pericolosi su un totale di 141,3 milioni di rifiuti speciali. Un affaire di 21 mila miliardi l’anno, per la loro peculiare condizione, i rifiuti speciali pericolosi raramente sono riciclati e riutilizzati, ma sono, invece, soprattutto smaltiti e lasciati in discariche non adatte, infondo al mare, sepolti in terreni e nelle vecchie cave di pietra.

Lo smaltimento illegale dei rifiuti pericolosi negli ultimi anni, hanno raggiunto un preoccupante aumento. Il preoccupante fenomeno ha il suo epicentro nel Sud, dove si registra il 40 per cento delle migliaia di reati contro l’ambiente. Puglia, Basilicata, Sicilia e la Calabria sono i territori più attivi nello smaltimento illegale. E’ evidente come, in relazione alla pericolosità dei rifiuti, sussista un proporzionale rischio per l’ambiente e la salute pubblica. È il caso del fazzoletto tra Villasmundo e Melilli, nel triangolo dei Comuni di Augusta, Melilli Priolo, con 23 discariche di rifiuti e circa 70 abusive create a cavallo degli Anni Sessanta e Ottanta. Il rinvenimento di discariche abusive di rifiuti industriali tossici e nocivi interrati senza alcuna precauzione, e ricoperti con un sottile strato di terreno abbandonato o sopra il quale è stata avviata una coltivazione di agricola come niente fosse. Le poche analisi chimiche eseguite hanno sempre confermato la presenza di elevate concentrazioni d’inquinanti, così come nell’aria, nell’acqua, nel mare e nella terra.

Nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Catania, il Gico della Guardia di finanza di Catania sequestrò beni per 50 milioni di euro riconducibili agli imprenditori Antonino Paratore e al figlio Carmelo (indicati come appartenenti a Cosa nostra e legati direttamente e prestanome di un boss), compreso il noto lido catanese “Le piramidi”.

17 i provvedimenti restrittivi, sette in carcere, sette ai domiciliari e tre misure interdittive furono eseguiti dai carabinieri tra Catania, Messina, Palermo, Siracusa, Roma e Brunico. Agli indagati furono contestati, a vario titolo il traffico illecito di rifiuti, estorsione e rapina, con l’aggravante del metodo mafioso, usura, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e traffico di influenze illecite.

L’attività di indagine, condotta dal 2012 al 2015, alla quale hanno dato riscontri dichiarazioni di collaboratori di giustizia, secondo la Procura di Catania ha consentito di far luce sull’operato, nel settore del traffico dei rifiuti, di Antonino Paratore e del figlio Carmelo – ritenuti legati al boss Maurizio Zuccaro della “famiglia” Santapaola-Ercolano – per il quale avrebbero agito anche quali prestanome.
L’inchiesta parte nel dicembre 2012, dopo il ritrovamento al largo della Toscana di bidoni contenenti prodotti dei catalizzatori esausti del petrolchimico, non più rigenerabili, di cui si occupava la Cisma Ambiente Spa, riconducibile alla famiglia Paratore. Il gruppo avrebbe fatto ampliare la discarica senza averne i requisiti e gestito in maniera illecita il conferimento che doveva essere limitato ai rifiuti di Siracusa e provincia e invece riceveva anche quelli di altre regioni italiane e il “polverino” dell’Ilva di Taranto.
Questo, secondo l’accusa sarebbe avvenuto “con la connivenza di pubblici funzionari della Regione Siciliana deputati al rilascio delle autorizzazioni, tonnellate di rifiuti realizzando ingenti guadagni e inquinando gravemente l’ambiente”. Lo avrebbero fatto “omettendo per anni di attivarsi, sebbene fossero stati informati dagli organi di controllo della condotta della Cisma che all’interno della discarica avrebbe operato in assoluto disprezzo delle autorizzazioni e della normativa ambientale”.

“In questo senso sarebbe – rileva la Procura di Catania – stato significativo l’apporto di un funzionario dell’Assessorato Regionale alle Infrastrutture e alla Mobilità di Palermo, che sarebbe divenuto lo strumento dei due Paratore per esercitare la necessaria pressione verso gli apparati della Pubblica Amministrazione per il raggiungimento dei loro fini illeciti”.

Tra le irregolarità emerse dagli accertamenti dei carabinieri del Noe, secondo l’accusa, anche la triturazione indifferenziata dei rifiuti, compresi quelli speciali, che venivano poi inviati a un inceneritore nel territorio di Augusta, che “Bruciando – ha spiegato il sostituto Raffaella Vinciguerra – veniva emessa diossina”.  

Accanto ai veleni smaltiti nei terreni e nel sottosuolo, aumentano a dismisura anche gli episodi d’inquinamento del mare. In seguito a numerose denunce da parte di Legambiente, il Ministero dell’Interno ha condotto una serie di indagini su affondamenti sospetti di navi al largo delle coste ioniche e allo scopo di accertare il loro eventuale carico di materiale radioattivo. Accertamenti che hanno confermato le ipotesi poiché sono stati misurati anomali valori di radioattività nelle acque circostanti una motonave affondata. Vecchie navi, coperte da premi di assicurazione per incidenti di questo tipo, che consentono all’organizzazione mafiosa di realizzare un evidente duplice affare. Al largo delle coste calabrese sono state trovate tante discariche marine, determinate dallo scaricamento in mare dei veleni pericolosi contenuti delle stive; la conferma nei rifiuti che restano impigliati nelle reti utilizzate per la pesca a strascico. Il Corpo Forestale dello Stato si appresta a fare un nuovo censimento delle discariche abusive presenti nel nostro paese con l’aiuto di un sofisticato strumento, messo a punto dal Cnr, che consentirà il rilevamento aereo delle discariche sfuggite ai controlli da terra e l’individuazione della zona a rischio. Il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti, in particolar modo quelli industriali, sono tra i business illegali più redditizi. Sono i maggiori campi d’azione delle ecomafie, organizzazioni criminali, le cui attività arreca danni all’ambiente. Il tutto, di solito collegato alla corruzione, frode ed evasione fiscale, percorrono il territorio nazionale, da nord a sud, e tutte le fasi del ciclo dei rifiuti. La produzione, il trasporto e lo smaltimento. Può essere benissimo dichiarato il falso sulla quantità o la tipologia di sostanze da smaltire, il carico può essere dirottato o fatto sparire, oppure l’operazione può essere affidata a imprese che lavorano sottocosto, ben sapendo che i metodi da loro utilizzati difficilmente saranno a norma. Insiste poi, il crocevia di traffici internazionali di materie radioattive e rifiuti pericolosi provenienti da altri Paesi: anziché essere trattati e gestiti secondo le norme di sicurezza ambientale.

Il Mar Mediterraneo è la vittima prediletta del doppio atto criminale delle navi a perdere, dove in un colpo solo si truffa l’assicurazione e si fa piazza pulita di scorie tossiche e radioattive. Senza lanciare alcuna richiesta di soccorso, semplicemente senza motivo, le navi scompaiono dai radar insieme ai loro equipaggi e ai loro carichi sospetti. Fino ad oggi non si è mai recuperato nessuno dei relitti affondati nelle zone più profonde del mare e nessuno sa con certezza quali misteri nascondano.

Il territorio industriale siracusano è oggi uno dei più martoriati dall’inquinamento, oltre che piano zeppo di discariche. Una terra ignorata per decenni, che dopo 70anni dall’inserimento della prima raffineria, è oggi incomprensibilmente abbandonato più che mai; gli incendi sono ormai la norma per la mancanza della manutenzione dei controlli Un Piano regionale di bonifica che non ha mai garantito risultati concreti. Quello degli incendi poi è diventato l’emergenza; un grave problema che è stato sottovalutato dalle industrie così come dalle istituzioni locali, a cominciare dai comuni e nella maggior parte dei casi, o addirittura non previste le attività di prevenzione, oltre all’annosa questione delle bonifiche al palo de decenni; il piano di risanamento ambientale delle discariche, dei terreni, del mare, dei mille capannoni coperti da eternit, delle falde fortemente contaminate, le procedure di analisi nelle aree agricole e le bonifiche dei terreni sulle quali incombe, tra l’altro, il rischio d’infiltrazioni della mafia, come per la zona in cui sono nate discariche a iosa negli ultimi anni. Nonostante le rassicurazioni delle istituzioni, l’illegalità continua tra roghi, tombamenti e corruzioni, e i rischi sanitari per i cittadini sono sempre più evidenti.

Ma nello scenario appena descritto, ci sarebbe anche l’interesse diretto della mafia della depurazione che si muove come una vera e propria holding con forti agganci economici e istituzionali nello smaltimento del percolato prodotto dalle discariche dell’immondizia e dei rifiuti industriali dell’intera Sicilia e di cui si sono interessate diverse Procure distrettuali, come Trapani, Palermo, Messina e Catania. Percolato dirottato a forza verso la Calabria e che potrebbe essere smaltito benissimo in impianti della Sicilia, come quello gestito dall’Ias, con un costo irrisorio di pochi euro al metro cubo anziché i circa 300 necessari. Infatti, questa è una delle leve verso lo smaltimento illegale dei rifiuti o il semplice cambio del codice con il giro bolle e fatture “vuote” senza smaltimento e aspettando che la pioggia faccia il lavoro sporco verso il mare. Evidenze venute fuori in varie inchieste giudiziarie in Sicilia e in Calabria e di cui ha parlato spesse volte il procuratore della Repubblica di Catanzaro, Nicola Gratteri.

Ritorna così d’attualità e apre un interrogativo di chi avrebbe deciso qualche anno fa d’interrompere il conferimento, la depurazione e lo smaltimento del percolato e dei rifiuti provenienti dalla molitura delle olive, dei pozzi neri, delle officine meccaniche e tanto altro, nei depuratori della Sicilia, compreso quello di Priolo Gargallo gestito dall’Ias. Tale siffatta condizione, già svelata in alcune inchieste da parte di varie Procure siciliane e calabresi per capire chi è stato ad organizzare il sistema di smaltire fuori dalla Sicilia i tanti milioni di metri cubi l’anno di percolato e reflui velenosi trasportati in Calabria e smaltiti con tariffe obbligate che produce una montagna di soldi con l’esorbitante rialzo fin dalla partenza, attraverso una viziata filiera che conformerebbe il connubio tra mediatori, trasportatori e gli impianti di trattamento in Calabria e in altre regioni oltre lo Stretto. Temi arrivati sui tavoli dei magistrati catanesi della Dda dal Noe dei carabinieri che hanno consegnato il frutto di un’indagine-gemella all’operazione descritta e denominata “Piramidi” sugli intrecci fra mafia, imprenditoria e pubblica amministrazione nel settore dei rifiuti e i dintorni in tutta la Sicilia.

Concetto Alota

II Parte. Continua

 

 

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