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Documenti. Commissione d’inchiesta rifiuti: il procuratore Giordano, benzina nella falda, cattiva depurazione, pirite, amianto, Erg-Med, Sai8, Sogeas e il servizio idrico

di redazione – “siracusanotizie.wordpress.com” – a cura di Concetto Alota

Documenti.

Ecco cosa scrive a luglio del 2016 la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti sugli illeciti ambientali ad esse correlate, istituita con legge 7 gennaio 2014, n. 1, composta dai deputati: Bratti, Presidente; Bianchi Dorina, Bianchi Stella, Carrescia, Castiello, Cominelli, D’Agostino, De Mita, Palma, Polverini, Rostan, Taglialatela, Vignaroli, Vicepresidente, Zaratti, Segretario, Zolezzi; e dai senatori: Arrigoni, Augello, Vicepresidente, Caleo, Compagnone, Iurlaro, Martelli, Morgoni, Nugnes, Orellana, Orrù, Pagnoncelli, Pepe, Puppato, Scalia, Segretario, Sollo. Lo stralcio della relazione territoriale sulla Regione Sicilia: Relatori On. Alessandro Bratti, On. Stella Bianchi, On. Renata Polverini) Approvata dalla Commissione nella seduta del 19 luglio 2016 Comunicata alle Presidenze il 19 luglio 2016 ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 7 gennaio 2014, n. 19, nella premessa è scritto: “La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad essere correlate ha approfondito, attraverso l’acquisizione di documentazione e l’assunzione di informazioni assunte in sede di audizioni effettuate nel corso di tre missioni in Sicilia, la situazione attuale della Regione siciliana con riferimento alle principali problematiche che attengono al ciclo dei rifiuti. Come detto, le tematiche della Sicilia sono state oggetto di approfondimento nel corso di specifiche missioni sul territorio”.

“La Commissione si è, infatti, recata in questa Regione dal 10 al 13 marzo 2015, dal 24 al 27 marzo 2015 e dal 13 al 16 aprile 2015. “Nel corso delle missioni sono stati poi effettuati sopralluoghi presso le discariche che presentavano particolari criticità: il 12 marzo 2015 presso la discarica Oikos e l’impianto della Sicula Trasporti, il 25 marzo 2015 presso la discarica di Bellolampo, il 14 aprile 2015 presso la discarica di Mazzarà Sant’Andrea e il 15 aprile 2015 presso la discarica di Siculiana”. “La relazione si articola in tre parti. La prima, nella quale viene analizzata la situazione relativa alla gestione dei rifiuti nella Regione siciliana, con particolare riferimento alle questioni di maggiore criticità attinenti a: – dichiarazioni dello stato di emergenza;- redazione del piano rifiuti; – ricorso alle ordinanze contingibili ed urgenti; – l’emergenza discariche e realizzazione dell’impiantistica; – passaggio dagli ambiti territoriali ottimali (ATO) alle società per la regolamentazione del servizio di gestione rifiuti (SRR). Si è ritenuto di trattare nella prima parte gli argomenti di carattere generale attinenti alla gestione dei rifiuti in Sicilia in quanto si è avuto modo di costatare, anche attraverso gli approfondimenti più particolareggiati afferenti alle singole province regionali, come i problemi inerenti le discariche, l’impiantistica, le SRR, la raccolta differenziata, e tutto ciò che attiene alla gestione territoriale del ciclo dei rifiuti, si ripropongano pressoché con le medesime caratteristiche ovunque, dipendendo in buona parte da problematiche a livello centrale”. “Nella seconda parte della relazione verranno approfondite singolarmente le singole province della Sicilia occidentale (Palermo, Trapani, Agrigento e Caltanissetta) e della Sicilia orientale (Enna, Messina, Siracusa, Ragusa e Catania), con particolare riguardo agli illeciti penali concernenti il ciclo dei rifiuti e, più in generale, agli illeciti ambientali, ai traffici illeciti di rifiuti e alle infiltrazioni della criminalità organizzata”. Siracusa. “Con riferimento all’Isab Impianti Sud (282 ettari) L’Azienda in data 04.08.11 ha siglato l’atto di transazione, aderendo all’Accordo di programma del SIN di Priolo”.

La situazione dei suoli e delle acque.

“La Conferenza del 25.07.11 ha ritenuto approvabile il Progetto di messa in sicurezza e bonifica dei suoli e delle acque di tutta l’area della Raffineria ad eccezione di alcune piccole aree. Le aree stralciate stanno seguendo un iter indipendente. Non è stato emanato il decreto”. Nel documento nei punti 2.8.4.3, è scritto, alla voce Inquinamento del sottosuolo da prodotti degli idrocarburi: “I magistrati della procura hanno riferito, in particolare, su due procedimenti relativi al fenomeno dell’inquinamento da contaminazione di idrocarburi in pozzi di acqua e falde acquifere della provincia di Siracusa”. “Nel primo risultano rinviati a giudizio cinque dirigenti dell’Isab-Erg-Med, indagati, in concorso, per i reati di disastro doloso (articolo 434 del codice penale), avvelenamento di acque (articolo 439 del codice penale) e omissione di misure atte a contenere l’inquinamento ambientale (articoli 242 e 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006). E’ stata infatti accertata la contaminazione da idrocarburi di dieci pozzi, contaminazione e terminata da un comportamento omissivo dal 2008 al 2012 dei responsabili dell’industria nel non aver segnalato una perdita di un serbatoio che nel corso degli anni ha determinato conseguenze disastrose. Si tratta in particolare dei pozzi localizzati in contrada Spalla nel comune di Melilli, dove fu accertata una rilevante contaminazione da idrocarburi provenienti da una crepa in un serbatoio del vicino impianto Isab Sud”. Ma furono tutti assolti. Nessuno pagò per quel grave reato.

“La condotta contestata agli imputati è ben descritta citata nota trasmessa alla Commissione (doc n. 158/1): «Ciascuno degli indagati, infatti, in conformità all’incarico di vertice rivestito ed ai correlati poteri e compiti esercitati, omettendo di attivarsi tempestivamente ed adeguatamente al fine di scongiurare le conseguenze della perdita dovuta all’apertura di una cricca in corrispondenza del serbatoio di stoccaggio S534, sito presso il parco serbatoi dell’impianto “ISAB sud” allora denominato “ISAB/ERG MED”, corrente in Città Giardino-Melilli, perdita della quale gli stessi avevano effettiva contezza già dal 7luglio 2008, cagionava l’inarrestabile inquinamento della falda acquifera sottostante, per effetto della progressiva infiltrazione ed espansione del prodotto idrocarburico sversato sul suolo e nel sottosuolo lungo un’area ricadente in contrada Spalla – tenere del comune di Melilli dell’estensione di oltre 16 ettari, zona gravemente interessata dal fenomeno di –278 –279 contaminazione dell’acquifero (oggetto di pubblico attingimento, attesa la riscontrata presenza di numerosi pozzi pubblici e privati insistenti sulla fascia interessata) da idrocarburi surnatanti, rinvenuti in quantità e con parametri nettamente superiori ai limiti tabellari consentiti, in tal modo 11 innescando e non impedendo un processo di irreversibile ed incalcolabile espansione del piume surnatante, con conseguente crescente esposizione della pubblica incolumità a serio e grave pericolo e produzione di incontrovertibili effetti ad impatto ambientale.» Questo accertamento, operato anche con procedure di caratterizzazione da parte delle autorità dell’ARPA, ha permesso di constatare una riconducibilità diretta di questo prodotto surnatante dal serbatoio localizzato nell’area ISAB che aveva inquinato questi pozzi. In merito, il dottor Giancarlo Longo, sostituto procuratore di Siracusa, ha riferito in audizione: “L’infiltrazione arrivava fino alla falda acquifera, molto profonda. Siamo riusciti a verificare con un tracciante la fessura in questo serbatoio risalente nel tempo che presenta condizioni molto particolari che si poggia con uno strato di acciaio direttamente sul terreno, e in questo caso questo serbatoio pare che comunque perdesse da tre o quattro anni e questa lenta perdita aveva comportato questo inquinamento. C’è stato quindi il rinvio a giudizio dei dirigenti dell’epoca. (…) Le perdite erano dal 2008 al 2012, per cui uno dei problemi rilevati è quello di stabilire le responsabilità. …. L’area di cui stiamo parlando è al di fuori del SIN di Priolo, quindi della bonifica e della messa in sicurezza si occupa non il Ministero dell’ambiente ma il dipartimento acque rifiuti della Regione in sinergia con gli enti locali. Nel caso specifico, poiché abbiamo individuato le responsabilità dell’inquinamento, l’ISAB si è occupata delle procedure MISE previste dal decreto legislativo. Presidente. È stato fatto? Giancarlo Longo, sostituto procuratore di Siracusa. Praticamente su via Garrone, che è la strada principale prospiciente a questi pozzi inquinati, sono stati aperti dei pozzi che con effetto di risucchio cercano di pompare quest’acqua inquinata. Si tratta di un sistema per cercare di mettere in sicurezza, però credo che la bonifica si sia esaurita in questa attività di drenaggio di questo prodotto surnatante”. Da questa indagine si sono poi aperti due filoni investigativi. Il primo, avente ad oggetto la valutazione della penale rilevanza delle condotte serbate dall’amministrazione comunale a fronte del primo manifestarsi e del successivo dilagare del fenomeno inquinante, alla luce delle reiterate e qualificate sollecitazioni dei competenti organi, volte ad adottare efficaci e tempestivi interventi per circoscrivere l’inquinamento in parola (procedimento n. 8039/13 RGNR Mod 21, che ha portato al rinvio a giudizio del sindaco pro tempore del comune di Melilli per il reato di omissione di atti d’ufficio). Il secondo, avente invece ad oggetto la rilevazione di irregolarità-omissioni-falsità nei procedimenti amministrativi preordinati al rilascio di autorizzazioni/licenze/titoli abilitativi all’esercizio di attività produttive localizzate proprio in contrada Spalla, sito interessato dal riscontro della più elevata densità di surnatante (procedimento n. 4922/13 RGNR Mod.21, per il quale è stato parimenti disposto il rinvio a giudizio nei confronti del sindaco pro tempore del comune di Melilli e del dirigente del VI settore U.T.C. urbanistica di Melilli)”. Il secondo procedimento riguarda il pozzo Cannizzo in contrada Spalla di Melilli, un pozzo pubblico dal quale viene presa acqua direttamente fruibile per la popolazione di Città Giardino, da sempre utilizzata per i consumi alimentari”. “Il dottor Giancarlo Longo (sostituto procuratore a Siracusa n.d.r.) ha riferito che la procura fu interessata a seguito di una relazione dell’ARPA che segnalava come i valori riscontrati da rilevamenti a 200 metri di distanza da detto pozzo fossero considerevolmente superiori a quelli consentiti dalle norme. Fu dunque disposto il sequestro e il sindaco di Melilli, con ordinanza, dispose l’apertura di un altro pozzo più a valle. “In questo caso, dato il mix di idrocarburi presenti nelle acque, fu più difficile stabilire la riconducibilità causale, – 279 – 280, anche se siamo sempre in area prospiciente all’impianto ISAB Sud e ad altre aziende limitrofe. La chiusura del pozzo con il tempo ha determinato l’abbassamento dell’inquinamento perché, non essendoci l’effetto diciamo di risucchio fatto dall’emungimento delle acque, il contaminante non ha più interessato la parte che convogliava sul pozzo, quindi attualmente i valori si sono attenuati”. “In questo caso allo stato non c’è più un’emergenza, quindi non è stato fatto nulla. Non essendo stata appurata la responsabilità dell’ISAB o di altre aziende, il comune di Melilli come ente preposto avrebbe dovuto attuare le varie procedure MISE e bonifica previste dal decreto legislativo. Presidente. Quindi, questa inchiesta è ancora in corso? Giancarlo Longo, sostituto procuratore di Siracusa. Questo è il problema fondamentale. Mentre nella prima inchiesta siamo riusciti a individuare con precisione da quale serbatoio scaturiva questo inquinamento, in questa seconda inchiesta si sarebbe dovuto fare un accertamento molto più complesso sui vari serbatoi che sono nello stato che potete immaginare, però su questo non abbiamo proceduto, quindi allo stato il pozzo è chiuso, fortunatamente non è più un pericolo per la popolazione”.

“Gestione del servizio idrico e depurazione delle acque “In merito alla gestione del servizio idrico è stato avviato un procedimento, per un’ipotesi di bancarotta fraudolenta, commessa dagli amministratori delle società Sogeas SpA e SAI8 SpA, per distrazione di fondi e per pagamenti preferenziali. La Sogeas, società di gestione del comune di Siracusa, partecipante in SAI8, fu dichiarata fallita due anni prima del fallimento della SAI8. La SAI8, società di servizi a partecipazione pubblica e privata, curava sia il servizio idrico integrato in città e in provincia sia la depurazione delle acque reflue nell’impianto di contrada Canalicchio. Venne accertato che negli anni precedenti la società non smaltiva i fanghi della depurazione ed inoltre fatturava alla società privata Sacecav costi di progettazione, in effetti, elaborati da dipendenti della SAI8″. “Nell’ambito dello stesso procedimento era stata presentata, ex articolo 7 della legge fallimentare, richiesta di fallimento della stessa società SAI8, istanza accolta dal tribunale fallimentare con un’articolata sentenza in data 26 novembre 2013, n. 57, successivamente confermata dalla Corte di appello di Catania, Sez. I, n. 755/2014. L’insolvenza della società derivava da esposizioni significative nei confronti dell’erario, degli enti previdenziali, e nei confronti di terzi, per circa 74 milioni di euro, la situazione della società precipitava anche a causa del ritiro della concessione affidata dall’ATO 8 nel luglio del 2013”. “Inoltre i crediti vantati dalla società per circa 23 milioni di euro risultavano inesigibili ed in sofferenza, in quanto originati da mancate riscossioni di canoni da parte di utenti morosi. Nel corso della procedura è stata respinta l’eccezione di inutilizzabilità degli atti di indagini svolti in sede penale dall’ufficio”. “Secondo quanto rilevato nella nota citata: «La vicenda della SAI8 dimostra come le articolazioni della p.a. indiretta, dove lo stato e le Regioni si avvalgono di società a partecipazione mista, costituiscano uno strumento di abusi patrimoniali e di sprechi non disgiunti da filosofie clientelari”.

“In estrema sintesi, la parte privata prendeva i profitti e scaricava i debiti sulla parte pubblica attraverso varie condotte» (doc n. 158/1). Dopo il fallimento della società SAI8, il servizio veniva affidato in esercizio provvisorio dalla curatela per alcuni mesi, quindi il comune lo ha gestito in proprio nelle more dell’espletamento di una gara che si è conclusa con l’affidamento del servizio ad una società privata appositamente costituita (newco), nonostante la legge regionale n. 12 del 2014 affidi direttamente ai comuni la gestione del servizio. –280 – 281 Questa circostanza ha formato oggetto di un esposto su cui l’ufficio ha avviato le conseguenti investigazioni di riscontro, nell’ambito del procedimento penale iscritto al n. 9105/14 mod. 44, dove è stata disposta ed espletata consulenza tecnica ex articolo 359 del codice di procedura penale e dove sono stati acquisiti numerosi atti e documenti”. “Vi è poi il tema della mancata manutenzione di depuratori nei comuni di Siracusa, Lentini, Pachino, Sortino e Feria, nonché della mancata realizzazione del depuratore di Augusta. La procura ha riferito, in particolare, in merito a tre procedimenti relativi alla mancata manutenzione dei depuratori delle acque reflue, due dei quali sorti dall’indagine SAI8, ma con iter autonomo. Le fattispecie di reato per le quali si è proceduto sono quelle di frode nelle pubbliche forniture (articolo 355 del codice penale), sversamento di rifiuti nelle acque superficiali (articolo 256, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 rispetto agli esercenti attività di impresa), getto pericoloso di cose (articolo 674 del codice penale rispetto agli amministratori pubblici). Oggetto del procedimento è soprattutto la circostanza che, nei due anni precedenti l’avvio delle indagini, non vi era stato adeguato smaltimento dei fanghi convogliati nei depuratori. Per la precisione, sono state rilevate gravi carenze in tutte le fasi della depurazione, dalla grigliatura allo smaltimento del refluo finale, addirittura per quanto riguarda il depuratore di Lentini gli smaltimenti di fanghi (residuo della depurazione) erano stati completamente omessi nel 2012 e nell’ultima parte del 2011. Ciò si collega al procedimento relativo alla bancarotta della SAI8, essendo, come ovvio, lo smaltimento dei fanghi e l’effettuazione della depurazione un costo.

Se i depuratori di Siracusa e Lentini presentavano gravi problematiche similari, le carenze rilevate a Pachino e Ferla si sono rivelate di gravità inferiore (incuria e mala progettazione che avevano comportato sversamenti di refluo non depurato, successivamente risolti). Sono stati contestati (procedimento penale n. 5320/13-21) i reati di cui agli articoli 113 del codice penale, 256, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, nonché 674 del codice penale”. “Nel documento n. 158/1, si accenna inoltre ad un altro procedimento in fase di indagine, in corso al momento della trasmissione della nota, relativamente alla mancata realizzazione del depuratore di Augusta, comune sciolto nel 2012 per infiltrazioni mafiose, finalizzato a comprendere quanto delle omissioni sia dovuto a profili di disordine amministrativo ed incuria e quanto a condotte penalmente rilevanti”. “Il filone di indagini relativo ai depuratori risulta dunque molto complesso e importante; talvolta si registrano soltanto delle situazioni di inerzia amministrativa o di microillegalità, mentre in altri casi c’è situazione ben più grave”. Indagini relative alla polvere di pirite e all’inquinamento da amianto-eternit “La procura della Repubblica ha affrontato una complessa indagine sull’inquinamento da cenere di pirite in due zone della penisola Magnisi, all’interno delle saline di Priolo e presso il campo sportivo di Augusta. Com’è noto, si tratta di un sottoprodotto dei processi di lavorazione di alcune società industriali della zona nord della provincia di Siracusa, accumulato da decenni, contenente residui di metalli ferrosi e che, a causa degli agenti atmosferici e del tempo trascorso, risulta oggi molto depotenziato. Le zone inquinate sono state oggetto di sequestro e, dopo avere espletato i necessari accertamenti tecnici, si è ritenuto di autorizzare lo spostamento della sostanza in discariche autorizzate dove sarà messa in sicurezza e smaltita, fermo restando il vincolo del sequestro, secondo un piano graduale”. – 281 – 282.

“Il provvedimento della procura della Repubblica, per ora, riguarda solo l’area di proprietà della società Eni Mediterranea, società incaricata delle relative operazioni, con assunzione di oneri finanziari a suo carico. Successivamente saranno adottati altri tredici provvedimenti analoghi per le altre aree, in modo da completare nel lungo periodo la bonifica in tutte le zone interessate. I reati ipotizzati sono la gestione abusiva di discariche di sostanze pericolose, i relativi procedimenti penali, tuttora in corso, sono in corso di definizione. Gli enormi quantitativi di cenere di pirite che sono stati prodotti, tuttavia, fino alla fine degli anni settanta ed anche oltre, sono stati smaltiti a quell’epoca, collocandoli in varie zone in parte abitate ed hanno costituito nel tempo un problema notevole che ha posto in pericolo anche la salute delle popolazioni, nonché ha costituito pericolo di un inquinamento atmosferico ed un inquinamento delle acque del mare. A seguito delle indagini espletate si è accertato che la cenere di pirite è stata collocata negli anni trascorsi nelle seguenti aree territoriali: 1)campo Sportivo di Augusta; 2) parte della “Borgata” di Augusta, attualmente totalmente urbanizzata; 3) campo sportivo di Priolo. Nella nota trasmessa alla Commissione la procura rileva come la cenere di pirite esistente già in questo campo sportivo sia stata totalmente rimossa da qualche tempo su iniziativa del comune interessato; 4) area della penisola di Magnisi, di proprietà della “ENI Mediterranea Idrocarburi SpA”; 5) area sita all’interno della penisola Magnisi, versante Thapsos, nella disponibilità della società Teseco, incaricata già da parecchi anni di rimuovere tutta la cenere di pirite esistente in quell’area ma che risulta, di fatto, avervi provveduto solo in maniera parziale; 6) area territoriale sita in territorio del comune di Priolo e contraddistinta con la indicazione “Saline di Priolo” di proprietà della Regione siciliana la cui gestione è stata affidata dalla Regione medesima alla LIPU”. “Tutte le aree sopra indicate, eccettuate quella che riguarda una parte della “Borgata” di Augusta sono state sottoposte e sono tuttora soggette a sequestro probatorio. Risultano indagate in tale procedimento l’amministratore legale rappresentante della Teseco Srl. l’amministratore delegato e legale rappresentante della Lega italiana protezione uccelli, l’amministratore delegato e legale rappresentante della Eni Mediterranea Idrocarburi SpA con sede in Gela, S.S. 117. Sono state espletate numerose indagini tecniche che sono pervenute alla conclusione che la cenere di pirite, che contiene parecchi metalli nocivi e, talora, cancerogeni, con ogni probabilità ha perduto nel corso degli anni per l’azione delle acque meteoriche e per l’azione delle acque del mare le sue caratteristiche di elevata pericolosità”.

“Pur tuttavia la procura della Repubblica ha disposto un provvedimento di dissequestro progressivo e condizionato della cenere di pirite esistente nell’area territoriale di proprietà della Eni Mediterranea con destinazione finale verso una discarica autorizzata. Analoghi provvedimenti dovrebbero essere adottatati con riferimento alle “Saline di Priolo”, alla penisola di Magnisi ed al campo sportivo di Augusta. Su questo tema, il procuratore di Siracusa, Francesco Paolo Giordano, ha riferito anche nel corso dell’audizione del 16 aprile 2015: “Per quanto riguarda la cenere di pirite, il campo sportivo di Augusta e di Priolo è uno dei procedimenti di bonifica che sono stati attivati dalla Regione. Purtroppo noi abbiamo il procedimento penale, abbiamo la responsabilità di non poter svincolare il sequestro se non si avvia il procedimento di bonifica, però questo si sta risolvendo. – 282 – 283. Per quanto riguarda invece la penisola Magnisi, L’Eni ha intrapreso questa bonifica, ma queste bonifiche della cenere di pirite si risolvono purtroppo in un semplice trasferimento da un punto a un altro di questa sostanza, che ormai ha perso moltissimo la sua capacità… Presidente. So che si sta trasportando in discarica”. Francesco Paolo Giordano, Procuratore di Siracusa. Esatto, si sta trasportando in una discarica autorizzata, non le so dire quale ma credo che sia in Calabria, comunque è una discarica autorizzata e questo trasferimento è già iniziato a spese dell’Eni. Presidente. Però c’è anche un’area pubblica, le aree sono due e, mentre quella dell’Eni si sta facendo, l’altra è ferma. Francesco Paolo Giordano, Procuratore di Siracusa. Quell’altra è ferma in attesa. Presidente. C’è un’indagine in corso, un contenzioso? Francesco Paolo Giordano, Procuratore di Siracusa. Sì, c’è un contenzioso e riguarda il reato di discarica abusiva, quindi il sequestro che è ancora in corso, e poi si aspetta questa bonifica”. Per quanto concerne l’inquinamento da eternit e da amianto, dopo un primo importante processo conclusosi in Cassazione nel luglio 2012 con alterne soluzioni, sono state avviate altre indagini in materia di lesioni o di omicidio colposo da polveri di amianto. Riguardano casi di malattie professionali, morti da malattie connesse all’esposizione all’amianto ed anche bonifiche di siti inquinati; in quest’ultimo caso la polizia giudiziaria ha proceduto alla diffida delle amministrazioni tenute a risanare i siti (ad es. il procedimento penale 6990/14 mod. 44, scaturito dalla denuncia del commissariato di Augusta). Quanto all’iter del procedimento di indagine concluso, in primo grado il Tribunale di Siracusa con sentenza del 26 maggio 2005, aveva accertato che nello stabilimento Eternit SpA di Siracusa si erano svolte sin dal 1974 lavorazioni con elevata diffusioni di polveri di amianto, e riconosceva il nesso di causalità tra l’esposizione all’amianto dei lavoratori presso lo stabilimento Eternit e il decesso o la malattia di alcuni di essi sulla base di tre fattori: 1) accertata esposizione prolungata alle polveri di amianto; 2) accertata sussistenza di omissioni prevenzionali destinata a prevenire patologie asbesto-correlate; 3) accertata presenza di patologie legate all’amianto. Erano state contestate tre fattispecie: articolo 437, primo e secondo comma, de lcodice penale; articolo 586 e articoli 589 e 590 del codice penale. La Corte di appello, con la sentenza del 23 aprile 2009, assolveva gli imputati, ritenendo che nella vicenda dovesse considerarsi insussistente tanto la prevedibilità quanto la evitabilità delle malattie derivanti dall’esposizione all’amianto; infatti, secondo la Corte di appello, solo col decreto del Presidente della Repubblica n. 336 del 1994 la legislazione aveva indicato quali fossero le malattie neoplastiche causate dall’asbesto. La Corte di cassazione, investita dell’impugnazione ai soli effetti civili, con la citata sentenza, annullò con rinvio la sentenza impugnata, ritenendo non corretto il giudizio di inevitabilità dell’evento prima di aver accertato che l’adozione di alcune misure avrebbe comportato il prodursi dell’evento dannoso”. “In merito il procuratore Giordano ha dichiarato in audizione: “Per quanto riguarda il discorso dell’eternit a Siracusa, (…) negli anni scorsi c’è stato un procedimento conclusosi per prescrizione, perché l’Eternit di Siracusa ha chiuso i suoi battenti da anni e non più alcuna attività produttiva e industriale. Per l’amianto noi siamo impegnati, oltre a quel discorso della Marina militare che la collega potrà approfondire, attivandoci di volta in volta quando abbiamo delle segnalazioni, però ormai la parabola discendente si è consumata proprio per effetto di questa chiusura degli impianti”.

“La giurisprudenza non ci ha aiutato molto in questa azione di contrasto.” – 283 – 284. L’indagine riguardante l’uso dell’amianto nelle navi della marina militare, cui il procuratore fa riferimento, è stata descritta dal sostituto procuratore Magda Guarnaccia, a seguito della ricezione di una notizia di reato da parte del procuratore aggiunto di Torino, Giuseppe Guariniello”. “La procura di Torino stava infatti procedendo, sulle navi di tutto il territorio nazionale, alla verifica della adeguata/reale realizzazione delle attività di bonifica pagate dal Ministero della difesa. Ne risulta come in diverse occasioni il Ministero abbia dato contributi rilevanti per la sostituzione di tutti gli elementi in amianto presenti nelle navi, non solo in guarnizioni relative a tubature e parti meccaniche delle navi, ma anche come materiale coibente delle cabine degli ufficiali, laddove le cabine migliori erano totalmente realizzate con pareti in amianto”. “La dottoressa Guarnaccia ha dichiarato: “Si è però verificato che in alcuni casi sono state realizzate delle vere e proprie truffe. Guariniello sta tentando di verificare se questa truffa veda coinvolti anche operatori della Marina che consapevolmente procedevano a pagare queste attività di bonifica, che in realtà non venivano realizzate o realizzate fittiziamente, cioè si sostituiva un pezzo in amianto con un altro pezzo in amianto. Tuttavia, come ha specificato la sostituto procuratore: “Tutto questo si sarebbe verificato fra la fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni 2000, quindi si tratta di reati prescritti, anche se riusciamo a individuare la truffa ormai è tutto prescritto. Cosa rimane allora a questo ufficio di procura? L’interpretazione il più estensiva possibile del nostro ruolo al solo e mero scopo di «fare sentire il fiato sul collo», se mi posso permettere di dire qualcosa del genere. (…) Nel caso di specie si è creato un vero e proprio inghippo interistituzionale l’anno scorso ad aprile, perché si stava procedendo alla dismissione di due navi, la Airone la Arcione, navi molto vecchie e inutilizzate da una ventina d’anni, ma per queste era stato siglato un contratto che economicamente teneva conto del fatto che dalla mappatura risultava pochissimo amianto nei punti soliti (canali e tubature meccaniche)”. “Quando si procede con una gru che comincia a staccare la parte superiore della nave, si scopre che la nave è completamente piena di amianto, quindi allo stato abbiamo un contenzioso civile nel quale la ditta si è fermata dichiarando di non poter rottamare la nave alla stessa cifra, perché la dismissione e le procedure di sicurezza le costeranno forse più del triplo di quanto preventivato, ma la Marina ribatte di avere solo quei soldi e di non poter fare di più. Questo ufficio tiene un fascicolo in piedi allo scopo di pungolare questa attività: questo è quello che siamo in condizioni di fare, non molto di più.” In conclusione, si tratta di un caso emblematico delle difficoltà nell’identificare le fonti di danno in materia di bonifiche di siti inquinati da decenni e dalla presenza di numerose e diverse attività industriali”. “Il polo di Augusta, infatti, a differenza del sito di Gela, è rappresentato da un enorme complesso di attività improduttive: sedici impianti tra impianti di trattamento degli idrocarburi, petrolio, raffinazione, ai quali si aggiungono cementifici e altre attività industriali che rendono ancora più ardua la valutazione delle fonti di esposizione e di responsabilità. A ciò deve aggiungersi la circostanza determinante per cui, fino all’entrata in vigore della legge sulla tutela penale dell’ambiente lo scorso aprile 2015, il reato di omessa bonifica di cui all’articolo 257 del decreto legislativo n.152 del 2006 si configurava come mera contravvenzione, con i noti limiti relativi ai poteri d’indagine degli inquirenti e al breve termine di prescrizione”.

 

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