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Petrolchimico siracusano tra inquinamento, bonifiche, chiusura e trasformazione della raffinazione

L’intervento – di Concetto Alota –

Con l’aumento delle importazioni di prodotti provenienti da raffinerie di ultima generazione con costi proibitivi per il settore della raffinazione europea, si potrebbe a breve correre un rischio concreto di chiusura sul medio termine. La filiera della raffinazione europea e il perfezionamento nei vincoli della qualità. Risulterà essere un indicatore con la capacità di assorbire una forte spinta, senza sbriciolare il sistema della raffinazione in attività su un orizzonte competitivo di lungo raggio e periodo modificando gli impianti; ma non è scontato. Infatti, insistono già pensieri e progetti per trasformare le vecchie raffinerie in un parco serbatoi di stoccaggio per idrocarburi provenienti dall’estero, magari di Stati fuori dall’Europa. Manca la volontà e la capacità politica ed economica di trovare soluzioni idonei di lungo termine prima dell’abbandono dei combustibili fossili, che derivano dalla trasformazione di sostanza organica, secondo reazioni naturali sviluppate in milioni di anni, come carbone, petrolio e gas naturale.

Il futuro incerto della zona industriale di Siracusa ha fatto allarmare più volte i lavoratori e i sindacati di categoria. I segretari provinciali di Filctem, Femca e Uiltec, si sono più volte preoccupati per il pericolo di un possibile disimpegno degli industriali, con un possibile forte contraccolpo all’economia siracusana con la perdita di migliaia di posti di lavoro. “Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a tante dismissioni e pochi investimenti” – così i segretari dei chimici. La paura che tra qualche anno le multinazionali della raffinazione nel petrolchimico siracusano, scelgano di fermare gli impianti dell’attuale raffinazione per passare alla fase delle semplice vendita di idrocarburi acquistati fuori dall’Europa, dove la raffinazione ha un costo molto più basso, con la realizzazione di parchi serbatoi. La cosa più semplice per diminuire i costi della produzione, trasformandosi in semplici commercianti d’idrocarburi.    

Perché bisogna cambiare. Una nuova importante sfida rimane quella della decarbonizzazione, vista anche come una nuova fase tra tanti possibili sviluppi tecnologici, alcuni dei quali porterebbero alla produzione di forme di energia per cambiare l’attuale sistema della raffinazione. È chiaro che insiste il pericolo per la struttura e la sopravvivenza dell’industria. Occorre realizzare l’obiettivo della decarbonizzazione, ormai indispensabile, per mantenere il ruolo della raffinazione che dovrebbe fornire combustibili liquidi a basse emissioni, e passare alla mobilita elettrica e ad idrogeno.

Senza interventi mirati, rimane il problema delle bonifiche dei siti a rischio chiusura; tra i più inquinati d’Italia, insiste quello del polo petrolchimico siracusano nel triangolo industriale che comprende Siracusa, Melilli, Priolo e Augusta. E mentre allo stato attuale le industrie dopo mille proteste si sono leggermente adeguate, l’aria spesso ritorna ad essere irrespirabile, la puzza irresistibile, le colonne di fumo variopinto che s’innalzano sinistre verso il cielo, specie di notte, mentre fiumi di percolato velenoso proveniente dalle discariche quando piove scorrono verso il mare, i fondali marini nella rada di Augusta sono compromessi, vedi i reflui dei depuratori, nel mare circostante i fanghi contaminati si sono spinti in un canalone sottomarino, in un enorme deposito di fanghi inquinati stimati dagli 85 ai 105 milioni di metri cubi che giacciano in fondo al mare a poche miglia dalla costa dell’Isola di Magnisi: fanghi e veleni provenienti dai dragaggi e dagli scarichi illegali di fabbriche e impianti di depurazione.

Sono 23 le discariche velenose autorizzate, mentre quelli abusive realizzate in lungo e in largo non sono quantificabili; i milioni di metri cubi di amianto fanno parte ormai dello scenario apocalittico. Ogni tanto le discariche prendono fuoco senza sapere il perché; le industrie e i comuni non curano il diserbo con incendi che ormai sono la regola d’estate sono la delizia dei piromani. Il rischio? L’effetto domino, specie per i serbatoi delle raffinerie.

Il tasso di mortalità e di malformazioni congenite in quasi tutti i siti siciliani, è stato alto. Nel territorio siracusano l’incidenza dei tumori, alcuni in particolare, è molto più alta della media nazionale e regionale; nesso fra presenza di “veleni”, nell’aria, nell’acqua e nei terreni e picchi anomali di particolari malattie. In sintesi, un quadro preoccupante contenuto nella quinta edizione del rapporto “Sentieri” – “Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio da Inquinamento” – dell’Istituto superiore di sanità. Otto anni di studio e un dossier clinico più aggiornato dei cittadini residenti in 45 Sin, Siti di interesse nazionale per le bonifiche, 4 in Sicilia: Biancavilla, Gela, Milazzo e Priolo.

Per rimanere a casa nostra, vediamo come stanno le cose nel Sito industriale Priolo, Melilli, Augusta e Siracusa. La mortalità generale nella popolazione del sito è in linea con la media regionale. Stessa cosa per le malattie dell’apparato digerente, in eccesso in entrambi i generi, così come quella per malattie dell’apparato urinario, anche se per queste ultime l’eccesso negli uomini è basato su una stima incerta. Risulta in difetto, rispetto al riferimento regionale, la mortalità per malattie dell’apparato respiratorio sia negli uomini sia nelle donne, in queste ultime, sulla base di una stima incerta. Tra le patologie con un’evidenza di associazione con esposizioni ambientali nel sito, il mesotelioma della pleura risulta in eccesso, quale causa di decesso, in entrambi i generi. È in eccesso la mortalità per il tumore del polmone tra le donne, basato su una stima incerta, e per malattie respiratorie acute tra gli uomini. Ma non si hanno notizie sull’attuale stato.

Quello che manca è la volontà di bonificare i terreni circostanti e il mare. Le discariche sono state realizzate alla meno peggio, con il percolato finito in mare nel silenzio generale sotto gli occhi di tutti; è ormai arcinoto che il territorio industriale siracusano è diventato un luogo avvelenato oltre ogni misura. Da oltre 70anni istituzioni, politici, medici, prefetti, giornalisti, Asp, magistrati e cittadini conoscono come stanno le cose. La scoperta del silenzio sui connubi tra le istituzioni a più livelli, è una conquista della verità costata migliaia di vite umane in incidenti con centinaia di infortuni che hanno provocato morti in incendi, scoppi, crolli, inalazioni di gas e veleni; esseri umani innocenti rei semplicemente di essere nati qui nell’inferno sulla terra; uomini morti asfissiati dai gas o bruciati vivi dalla corrente elettrica, oltre ai malati di tumore che non sono quantificabili tra la popolazione. E questo in perpetua emergenza: veleni nell’aria, nel mare e sotterrati in lungo e in largo; diventa pleonastico e inutile alimentare questa incredibile storia, emblema del collasso dei diritti per i cittadini in uno Stato di diritto solo a parole.

Una storia che registra ancora oggi piccoli incidenti e fughe di gas, specie d’estate, oltre ai tanti rinvenimenti di rifiuti tossici fuori ogni logica di legge. La storia è nota e tutti sanno come sono andate le cose. Fatti gravi che interessano ognuno di noi, anche se continua a essere trattata perlopiù come un fatto di cronaca locale, mentre viviamo uno dei momenti più difficili della nostra storia dell’economia e del  lavoro, divisi tra la sperata prosperità e la sofferenza, incapace di ridare forza a uno stile di esistenza imprigionato nell’esteriorità e non nella sostanza delle cosa

L’ambiente è ormai distrutto da laceranti invasioni di veleni; il mare, la terra e i fiumi invasi da idrocarburi e percolato, l’aria invasa da odori nauseabondi, il nostro tempo è attraversato da un tremito d’impotenza: tumori, cancri, malattie diffuse, le prevaricazioni d’industriali senza scrupoli che creano povertà, mafia politica, putrefazione continua della società dove a dominare rimane la corruzione.

Lo scenario nel Petrolchimico siracusano rimane inalterato da decenni; ogni giorno gas, fumo e fiamme sinistre che per decenni si sono innalzati verso il cielo. La puzza irrespirabile, i rifiuti ammassati in discariche che continuano a inquinare.

Il tutto conferma ancora oggi la presenza strumentale delle politica di alcuni sindaci del passato dei comuni industriali che si sono succeduti nel tempo, e che hanno fatto il bello e il cattivo tempo; sempre legati e profondamente intrecciati con i soggetti che controllano l’economia locale. L’abusivismo dell’inquinamento è un fatto endemico, sfruttato per collegare il ricambio del favore, connesso ai posti di lavoro in cambio del silenzio a orologeria, destinato all’esistenza di un connubio eterno. Quello che ora preme evidenziare è il ripetersi di atti che producono l’inquinamento violento il cui riflesso si esaurisce nella dimensione locale e per l’appunto in un semplice studio del caso, ma supporta di contro una visione drammatica del futuro. Una sorta di deregolamentazione, in cui tutti sono muti, sordi, ciechi. La storia locale, è molto meno particolare e minuscola di quanto possa apparire, ma al suo interno confluiscono modi di relazione e potere che ha caratteri generali e a loro modo universale, che sono in sostanza connessi alla relazione tra grande capitale e territori periferici. Parlare di Petrolchimico siracusano oggi significa discutere della relazione tra sovrani e sudditi, negli esiti dell’industrializzazione nel sottosviluppo, oltre che del fallimento dell’industrializzazione, senza crescita e futuro; ancor peggiore è il pericolo dello smantellamento con i veleni che rimangono nel territorio, com’è successo per il passato.

Relazioni e intrecci tra la politica e le industrie; espressione, riproposta frequentemente da fattori sociali e dal ricatto occupazionale, nell’incertezza e nel rischio sanitario o della resistenza che essa genera nella passività delle masse cui la verità è vietata e l’illegalità connessa, quale stratagemma finale. Qui ci si ammala e si muore in silenzio; e questo accade in maniera seriale. Anche quando le cause di quelle malattie e di morti, con elevata probabilità logica, stanno nell’ambiente di quegli stessi posti; nella loro aria, nella loro acqua, nella loro terra, nei loro luoghi di vita e di lavoro. Nell’immaginario collettivo l’emergenza ambientale e sanitaria nei petrolchimici è arcinota. Così come in prossimità dell’area industriale un aumento complessivo del tasso d’incidenza per tutti i tumori in corrispondenza di più elevate concentrazioni di anidride solforosa; incrementi di ricoveri e decessi per malattie cardio-respiratorie in corrispondenza d’innalzamenti delle concentrazioni in aria di alcuni macroinquinanti anche entro i limiti di legge e con venti provenienti dall’area industriale che conferma l’anello che collega l’ambiente alla salute, mentre le mille richieste di bonificare il territorio sono rimaste lettera morta, compresa la promessa dei tanti ministri dell’Ambiente che si sono succeduti nel tempo.

Foto di repertorio.

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