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Politica & Potere. Nel guazzabuglio chiamato Ias, spunta la tattica di una guerra politica

La vicenda della gestione del depuratore consortile di Priolo, di proprietà della Regione Siciliana e gestito in atto dall’Ias con una convenzione ormai obsoleta, si tinge di giallo-politico per diventare alla fine un enorme guazzabuglio, con una tattica di guerra con allo sfondo la politica. Ai silenzi sono intervenute le tattiche: l’emendamento del deputato Giovanni Cafeo è stato ignorato del tutto, “acqua fresca”; Assindustria Siracusa dribblata per ben due volte con l’aggiunta di “tanta sterile polemica”; la proposta del sindaco di Priolo Pippo Gianni di voler subentrare all’Ias nella gestione del depuratore è stata considerata da più parti una “frottola strumentale-politica e nulla più”; il bando di gara europea per la nuova gestione con la scadenza prorogata alla prima decade di maggio appare più tattico che reale, e via così fino a fondo pagina. Ritornando con i piedi per terra, si conforma nella logica deduzione che la scadenza della proroga per la presentazione della fidejussione, concessa dalla Procura di Siracusa per il 15 aprile prossimo all’Ias, non potrà essere rispettata per una serie di ragioni.

Il panorama così allestito riflette la possibile e unica soluzione della magistratura: la nomina di un commissario giudiziario ad acta, escludendo l’intero Cda in un solo colpo, che, secondo alcuni addetti ai lavori, sarebbe, nella buona sostanza, questo il risultato sperato dai tanti “attori e registi”. Infatti, difficilmente la società che gestisce il depuratore biologico consortile di Priolo riuscirà a formalizzare il necessario documento fideiussorio di garanzia per la somma di 12 milioni di euro, e nemmeno, per logica, potrà elaborare il crono-programma dei lavori richiesto dal Gip nel provvedimento di sequestro preventivo degli impianti da cui provengono le emissioni che provocano la dispersione nell’aria di quantità di sostanze inquinanti, connotate da odore nauseabondo molesto molto elevato. E questo semplicemente perché l’Ias non è proprietaria degli impianti, ma il semplice gestore a cui non spetta ottemperare alla messa a norma dell’impianto di pertinenza della proprietaria, cioè, al Consorzio Asi di Siracusa, a sua volta ente a economia derivata dalla Regione come l’Irsap che interviene nella pubblicazione della gara per la nuova gestione del depuratore con delega del Consorzio Asi di Siracusa in liquidazione.

Secondo alcuni giuristi, ci sarebbe, a rigore di logica, un errore nell’individuazione dell’Ias quale destinatario del provvedimento, semmai in correo con la Regione ognuno per la propria responsabilità e competenza, avendo la stessa l’obbligo della responsabilità e del pagamento dei danni provocati all’ambiente per la cattiva gestione derivante e della manutenzione ordinaria degli impianti, ma non per quella straordinaria o per l’adeguamento dello stabilimento alle norme di sicurezza, come la copertura delle vasche, l’impianto di captazione e trattamento dei cattivi odori, cosiddetto di “deodorizzazione”, e tutte le modifiche che si rendono necessari per la messa in sicurezza dello stabilimento. In ultimo, l’intenzione dell’Ias di voler partecipare alla gara per la gestione indetta dall’Irsap, è svanita per la mancanza dei titoli necessari, o per tattica introducente.
Intanto, le indagini della Procura di Siracusa s’intensificano nella ricerca minuziosa, sia sul campo amministrativo nell’appalto dei lavori con acquisizione di atti quasi giornalmente da parte della guardia di finanza, sia sul fronte dell’inquinamento con prelievi e controlli a tappeto da parte degli uomini del Nictas dell’Asp di Siracusa.

Come si ricorderà, le accuse della magistratura inquirente portarono al decreto di sequestro del Gip Luisa Intini con le motivazioni, tra le altre cose: “ciò che emerge è un preoccupante divario tra le prescrizioni imposte dai documenti autorizzativi e, le effettive condizioni di concreto esercizio degli impianti, risultati vetusti, privi di fondamentali accorgimenti per l’abbattimento delle emissioni diffuse nonché privi del previsto sistema di monitoraggio in continuo delle cosiddette emissioni convogliate”. Gli inquirenti senza giro di parole, parlano di “uno spaventoso ritardo nell’adozione dei provvedimenti Aia, gestendo le attività in assenza di prescrizioni autorizzative aggiornate alle direttive europee sino all’anno 2012” e poi che “hanno in seguito conseguito decreti Aia che non hanno fatto propri i limiti emissivi individuati dalle Migliori tecniche disponibili” e, comunque, “non hanno rispettato, se non parzialmente, le pur minimali prescrizioni per l’esercizio dell’impianto che erano state imposte”.
Concetto Alota

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