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Traffico di droga, la moglie e il fratello del boss Pinnintula si discolpano

Hanno rigettato ogni addebito Nunziatina Bianca e Gianfranco Trigila, rispettivamente moglie e fratello di Pinuccio Pinnintula, ritenuto il boss dell’omonimo clan che opera nella zona sud della provincia. I due indagati, coinvolti nell’operazione “Ultimo atto”, portata a termine dai poliziotti della squadra mobile con gli agenti del commissariato di Avola, devono rispondere di associazione per delinquere finalizzata dal traffico di droga. Sono comparsi davanti al gip del tribunale di Catania, Barbagallo, per essere sottoposti a interrogatorio di garanzia.

Entrambi si sono detti estranei alle contestazioni mosse dalla Dda di Catania, affermando che i colloqui avvenuti nel carcere di Biella con Antonio Trigila non avevano altro significato se non quello di avere consigli nella gestione dell’azienda zootecnica. Per gli investigatori, che hanno intercettato le conversazioni con moglie e altri parenti, sostengono che quando si parla di pecore, mucche e prodotti caseari non era altro che il gergo cifrato per riferirsi alla droga da trasportare in grande quantità da Milano in provincia di Siracusa, con la collaborazione di una ‘ndrina della Locride.

I due indagati hanno anche dissentito dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Piero Monaco, affermando che egli abbia il dente avvelenato per la separazione dalla moglie, figlia di Antonio Trigila, avvenuta nel 2004. Da allora, sostengono Bianca e Trigila, Monaco non poteva essere a conoscenza delle attività della famiglia. I legali difensori, avvocati Antonino Campisi e Fabio Cancemi, hanno preannunciato di ricorrere al tribunale del riesame di Catania per l’annullamento della misura cautelare degli arresti domiciliari. Nella stessa operazione sono state coinvolte altre 15 persone, tutte denunciate a piede libero.

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