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Tratta di esseri umani, in manette una nigeriana

Su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Catania, la Squadra Mobile di Siracusa, con la collaborazione dell’omologo Ufficio di Foggia, ha dato esecuzione ad una ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Catania, nei confronti di una donna nigeriana (E.F.), dimorante in provincia di Foggia, a carico della quale è stata riconosciuta la sussistenza di un grave quadro indiziario relativamente a diverse ipotesi di tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, aggravati dall’aver agito anche in danno di minori, dall’aver esposto le persone ad un grave pericolo per la vita e l’integrità fisica (precisamente facendo loro attraversare il continente di origine sotto il controllo di criminali che le sottoponevano a privazioni di ogni genere e a diverse forme di violenza, ed, infine, le facevano giungere in Italia via mare a bordo di imbarcazioni occupate da moltissimi migranti esponendole ad un altissimo rischio di naufragio), dall’aver contribuito alla commissione del reato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività delittuose in più di uno stato; dei delitti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, del delitto di sfruttamento della prostituzione nonché autoriciclaggio dei proventi dell’attività delittuosa perpetrata.

 Le attività investigative avrebbero permesso di individuare un flusso di giovani donne reclutate in Nigeria ed introdotte in Italia per poi essere avviate all’attività della prostituzione, mediante costrizione perpetrata, nella quasi totalità dei casi, tramite l’inganno e la pratica dei riti Woodoo, forieri di minaccia di morte per le vittime e per i loro cari. Grazie al forte potere di intimidazione derivante dalla sottoposizione al cd. rito “Ju-Ju”, l’indagata sarebbe riuscita a convincere le vittime a scappare dai centri di accoglienza, ove erano state allocate dopo l’arrivo in Italia.

La presente indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania e svolta dagli investigatori della Squadra Mobile di Siracusa, traeva origine dalle dichiarazioni di una giovane donna Nigeriana, la quale  al momento dello sbarco presso il porto commerciale di Augusta nel luglio 2016, riferiva di avere intrapreso un lungo viaggio in autobus dalla Nigeria fino in Libia e da lì  verso l’Italia, attraversando il mare, contraendo un debito di trentamila euro quale corrispettivo per “le spese di viaggio”.

La persona offesa, ignara circa le sorti che l’attendevano in Italia, soltanto durante il periodo di “prigionia” in Libia apprendeva della sua futura destinazione al mercato della prostituzione e comprendeva di esser stata ingannata con false promesse subendo, tra l’altro, violenze fisiche  e psichiche ad opera dei “sorveglianti” durante il soggiorno libico. Pertanto, giunta in Italia, decideva di chiedere aiuto e, dopo un primo contatto con personale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, veniva sentita da personale di Polizia di Stato.

L’attività così avviata avrebbe permesso di identificare compiutamente la madame nell’odierna indagata, dimorante nel foggiano e di  ritenere  la stessa ampiamente coinvolta in numerose vicende di tratta di esseri umani, alcune riguardanti vittime da essa commissionate, altre riguardanti vittime “attese” da altre madame che le si sarebbero rivolte per l’organizzazione del viaggio delle vittime o per la loro concreta gestione su strada una volta arrivate; l’indagata, difatti, sarebbe risultata in grado di avvalersi di due formidabili correi che in Nigeria e in Libia la avrebbero aiutata nei vari segmenti della catena della tratta di esseri umani e, segnatamente: un native doctor in Nigeria  (addetto al reclutamento e alla sottoposizione a juju delle vittime) ed un cittadino nigeriano (addetto alla cura dei  viaggi dalla Nigeria all’Italia, il quale si sarebbe occupato di ricevere le somme necessarie dalla indagata per poi provvedere alla corresponsione dei pagamenti agli smugglers per le prestazioni da essi erogate, all’acquisto del cibo per le migranti in transito, alla gestione dei rapporti con gli smugglers e alla scelta del soggetto in grado di soddisfare meglio e più in fretta le richieste di imbarco).

In tal guisa l’indagata sarebbe risultata in grado di “gestire” nell’arco di pochi mesi il viaggio dalla Nigeria di almeno 8 ragazze(tre delle quali effettivamente giunte in Italia nello stesso periodo) nonché la prostituzione di due ragazze, controllando anche diverse postazioni lavorative di prostitute su strada.

L’attività d’indagine consentiva, tra l’altro, di rilevare numerose transazioni economiche di denaro dall’Italia verso la Nigeria che sarebbero state effettuate dalla indagata, utilizzando denaro proveniente dallo sfruttamento sessuale delle vittime giunte in Italia: l’indagata -apparentemente priva di fonti di reddito- sarebbe riuscita a inviare continuamente somme avvalendosi dei servizi di altri connazionali che, al di fuori di ipotesi di concorso nel reato, avrebbero provveduto alle rimesse trattenendo una provvigione per l’attività svolta. Le rimesse sarebbero state reinvestite in pagamenti ai complici (al native doctor addetto al reclutamento e alla sottoposizione a juju delle vittime, ad un complice che si occupava dell’organizzazione e della gestione del viaggio dalla Nigeria all’Italia); sarebbero emersi tuttavia anche gli investimenti immobiliari realizzati in Nigeria.

Il modus operandi seguito sarebbe risultato abbastanza semplice ma efficace: l’indagata sarebbe stata difatti solita effettuare plurimi e continui trasferimenti di somme non sempre destinate alla stessa persona, attraverso soggetti che offrivano il servizio di rimesse all’estero secondo un sistema non tracciabile di informal banking.

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