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La Sovrintendenza e i giardini di Noto

Lettera aperta del movimento “Passione civile” di Noto, alla sovrintendente ai beni culturali. Si parla dello stato dei giardini di Noto.

Quante volte, dinnanzi a un cantiere, ad un restauro in uno dei tanti centri storici delle nostre città siciliane, abbiamo sentito la frase:  «qua non si capisce niente… che vuoi… è la Soprintendenza… ». Nell’immaginario collettivo della nostra isola, la Soprintendenza ai Beni Culturali ha sempre avuto una rappresentazione ambivalente : incarnazione per eccellenza dell’ottusa burocrazia all’italiana da un lato, inflessibile custode della storia di un popolo – divenuto incolto – dall’altro. Qualcuno diceva, in medio stat virtus: a noi cittadini, una via di mezzo tra l’uno e l’altro, ma anche un po’ di semplice buon senso, basterebbe….

Due giardini. La città di Noto, la città barocca, presa nel suo asse principale, iniziava (sì, vista la situazione attuale, è bene dire iniziava, al passato) con un giardino e finiva con un giardino. Chissà se questo dato architettonico sia una pura coincidenza della storia urbanistica della città o una volontà progettuale ben precisa che si è materializzata nel tempo. Fatto sta che l’ingresso principale di Noto inizia con un viale alberato e con un giardino ornamentale tipico dell’ottocento siciliano, e conduce, all’estremità opposta, ad un altro, più piccolo giardino storico ornamentale. Questo fatto scenico, magari per i più secondario, è di per sé eccezionale : due giardini, la Villa Comunale e i giardinetti di Piazza Ercole, racchiudono, come un simbolo vegetale, il lavoro architettonico dell’uomo.

I due giardini sono stati di recente oggetto di lavori di rifacimento: il primo giardino è stato stravolto, manomesso e mutato nella sua funzionalità originale, il secondo meno ma pure. Non entriamo nei dettagli tecnici, storici, botanici, paesaggistici: sarebbe troppo lungo e magari noioso. Diciamo allora una cosa sola: «qua non si capisce niente… ora c’è brecciolino e prato inglese».

Sì, brecciolino, bianco, brillante, allampato, che peraltro fuoriesce dagli spazi sparpagliandosi dappertutto, e prato inglese, quel prato verde che oggi è probabilmente per noi siciliani simbolo di vagheggiata ricchezza, di progresso, di regola, poiché richiama all’ordine di un mondo nordico che forse, invidiandolo, cerchiamo di riprodurre nei nostri antichi giardini pubblici e privati.

Ma che fa quindi la Soprintendenza a Noto? Custodisce, latita o piuttosto rincorre nei viali dei giardini siciliani l’idea di un ripristino da civiltà pasticciona e low-cost che si vorrebbe spacciare ai cittadini, a noi siciliani, ai visitatori, per cultura, progresso?

E la preoccupazione non sarebbe immotivata se lo stesso problema di custodia del patrimonio artistico netino non si ponesse ancora una volta per altri interventi recenti. Come le illuminazioni apposte ai balconi di Palazzo Nicolaci: un elemento decorativo contemporaneo che viene aggiunto, poiché non esisteva, cambiando così il profilo scenico non solo dei balconi ma anche dell’edificio – quando invece un sistema invisibile di illuminazione sarebbe stata la scelta più consona e rispettosa della storia. O ancora il cantiere in corso oggi al Piano Alto: il rifacimento della Piazza del Crocefisso e del manto stradale delle vie adiacenti, dove si prevede di sostituire la pavimentazione tipica in mattonelle di asfalto con conglomerato bituminoso, e la pavimentazione dei marciapiedi e della piazza con pietra bianca di Modica e fughe in cemento grigio, sono soluzioni che non hanno riscontro nel centro storico di Noto.

Al di là delle considerazioni possibili sulle competenze degli uni e degli altri, di fronte alla qualità di tali ripetuti interventi di rifacimento, ci si chiede quale sia il ruolo della Soprintendenza ai Beni Culturali di Siracusa – immaginandolo, noi cittadini, come un ruolo di guida delle amministrazioni locali che sia rispettoso della storia e dell’arte di un popolo e della sua cultura.

La tutela del nostro patrimonio storico non necessita né di grandi mezzi né di grandi saperi. Né dovrebbe necessitare della vigilanza di organismi internazionali, quasi noi siciliani fossimo dei barbari inconsapevoli, incapaci di riconoscere la straordinarietà della nostra isola. Il buon senso e la capacità di osservare sono più che sufficienti a conservare le ricchezze che abbiamo ereditato senza doverle necessariamente ritoccare o stravolgere. La responsabilità che abbiamo, cittadini ed autorità preposte a tale compito, non è solo formale, ma è, prima di tutto, morale! A Noto, pensare che, per il solo fatto di aver ottenuto la medaglia UNESCO, abbiamo la legittimità di intervenire sul centro storico in modo tanto “originale” da diventare incurante della storia, è un grave errore. Poi, l’UNESCO, fosse anche la tutela del patrimonio una sua prerogativa, è di fatto assente in Sicilia.

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