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L’incendio nella raffineria Eni a Pavia apre inquietanti riflessioni anche nel polo petrolchimico siracusano

Il violento incendio scoppiato nella raffineria di Sannazzaro a Pavia, dove un operaio è rimasto intossicato e il comune ha invitato i cittadini a chiudersi in casa, mentre gli operai si sono rifugiati nei bunker antincendio, è grave e pone l’attenzione in tutti gli agglomerati urbani, dove insistono impianti ad altro rischio per l’effetto domino, che per fortuna stavolta non c’è stato.
La paura nel circondario per quel violento incendio che si è sprigionato è stata tanta. Le immagini subito diffuse sui social hanno mostrato fiamme altissime e una densa colonna di fumo. Nessuno è rimasto ferito, a parte un operaio che scappando ha riportato una contusione al ginocchio e un altro intossicato. Paura e preoccupazione. Ma sono ancora tutte da verificare le case dell’incendio e le conseguenze ambientali e per chi ha respirato il fumo, anche se l’Eni in una nota chiarisce che dai primi rilievi compiuti dalle autorità locali competenti, non risultano nell’aria particolari concentrazioni di sostanze inquinanti. E’ uno dei più grossi incidenti che si siano mai verificati in questo impianto. Ma non è il primo, infatti, nel luglio scorso si sono verificati due simili, e in uno dei due un operaio era rimasto ferito.
E il pensiero nel nostro caso è rivolto subito all’aerea del petrolchimico siracusano, dove i paesi più a rischio sono Augusta, Melilli, Priolo, Città Giardino e Siracusa. La vicinanza agli impianti degli agglomerati urbani non ha fatto dormire sonni tranquilli agli abitanti. Insiste una responsabilità intrinseca, specie per la realizzazione dei centri commerciali di Città Giardino, avvenuta in maniera del tutto fuori logica; disattesa la Direttiva Seveso 2 che regola la disciplina. A meno di mille metri in linea d’aria ci sono gli impianti dei serbatoi del GPL della raffineria Isab Sud, ci sono i centri commerciali. La Seveso 2 articola in tal senso la regola del divieto di costruzione nelle vicinanze degli impianti ad alto rischio, come le raffinerie, dove l’assembramento delle persone supera le cinquecento unità. E stavolta la colpa non è imputabile alla proprietà della raffineria poiché gli impianti esistevano già quando si sono realizzati i centri commerciali. Insomma, ancora una volta il nervo scoperto trova il connubio nella politica degli affari. Il silenzio poi durante la costruzione di quei centri commerciali e la speculazione edilizia scaturita hanno fatto il resto; ma l’Erg, allora proprietaria della raffineria, poteva in autotutela denunciare i fatti e non l’ha fatto. Chissà perché.

Concetto Alota

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