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Operazione antidroga a Santa Panagia, gli indagati: “Nessuna organizzazione”

Lo spaccio di droga era una questione di famiglia. Dalle intercettazioni ambientali, eseguite dagli investigatori della squadra mobile, a casa di Agostino Urso, ritenuto il promotore dell’organizzazione e l’organizzatore del traffico di sostanze stupefacenti, è emerso il coinvolgimento dei suoi più stretti familiari così come i filmati, tratti dalle telecamere nascoste, installate dai poliziotti nei luoghi da lui frequentati, hanno permesso di documentare la partecipazione delle dieci persone finite in manette nell’ambito dell’operazione antidroga scattata giovedì scorso. 

Davanti al Gip del tribunale di Catania, Pietro Antonio Currò, i dieci indagati, tutti finiti in carcere (gli uomini alla casa circondariale di Cavadonna, le tre donne sono detenute nell’istituto di pena di piazza Lanza a Catania), si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Difesi dagli avvocati Junio Celesti e Natale Perez, in molti di loro hanno rilasciato dichiarazioni spontanee con le quali hanno rigettato il reto di associazione per delinquere finalizzato allo spaccio di sostanze stupefacenti. Secondo quanto ricostruito dai poliziotti, con il coordinamento della direzione distrettuale antimafia di Catania, il promotore del presunto traffico di droga sarebbe Agostino Urso, 65 anni, vecchia conoscenza delle forze di polizia. Ha fatto scena muta alla stessa stregua dei suoi familiari e di Salvatrice Aglianò Francesco Granata, Manuel Pisano, Marco Campisi ed Emanuele Riani.  

Dal novembre 2017 al novembre del 2021, gli investigatori l’hanno tenuto sotto controllo, piazzando cimici nella sua abitazione oltre che avvalersi della dichiarazione di un collaboratore di giustizia che ha spiegato loro le modalità adottate per garantire la capillarità della diffusione di droga nel capoluogo. Nel corso delle indagini è stato scoperto che gli indagati utilizzassero diversi luoghi in cui conservavano la droga, per lo più cocaina, tra viale Santa Panagia, via Algeri e persino alla Borgata Santa Lucia dove venivano custodite le partite di hashish che arrivavano da Palermo. 

Agostino Urso si avvaleva della collaborazione del cugino Pasqualino Urso che fungeva il ruolo di braccio destro dedicandosi all’approvvigionamento della droga da immettere nel mercato locale. Nell’inchiesta della Dda sono stati coinvolti la moglie di Agostino Urso, Carmela Falco, e il figlio Concetto Urso meglio noto come Simone. Il gruppo familiare si sarebbe avvalso della prestazione di vari spedizionieri, come nel caso di Shaila Tringali, cognata di Urso, che gli inquirenti definiscono “corriere cittadino” cui era affidato il compito di trasportare gli stupefacenti in luoghi di custodia per poi essere spacciati al dettaglio da una rete di venditori presenti su tutto il territorio cittadino. Un’organizzazione capillare, quindi, che aveva l’obiettivo di garantire ai numerosi clienti il reperimento di sostanze stupefacenti a qualsiasi ora del giorno e della notte. 

I legali della difesa hanno annunciato di volere proporre ricorso al tribunale del riesame di Catania per sostenere l’insussistenza del vincolo associativo tra gli indagati. Intanto, nei prossimi giorni compariranno davanti al giudice per le indagini preliminari anche le sei persone per le quali è scattata la misura cautelare dell’obbligo di dimora o di presentazione alla polizia giudiziaria per essere sottoposti anch’essi all’interrogatorio di garanzia. La loro posizione è stata ritenuta meno pesante dal giudice che non ha emesso alcun provvedimento restrittivo nei loro confronti. 

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