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Reportage, mafia e società: i giornalisti non sono sbirri, ma sentinelle di libertà e democrazia

I Giornalisti non sono sbirri, ma esperti di comunicazione con il compito di trovare notizie e scrivere in maniera chiara e senza omissioni o falsità. Ma è il venticello della calunnia, che è tanto inquietante quanto efficace per screditare i giornalisti scomodi che fanno il loro dovere, mette in moto odio e rancore senza alcuna possibilità di difesa per il cronista che ha fatto il proprio dovere, raccontando i fatti.

Ecco in merito il pensiero di Enzo Biagi: “Raccontare le porcherie delle mafie, descrivere l’olezzo che si spande sui “loro” territori, rivelare le complicità di chi le protegge e le favorisce. È il lavoro dei giornalisti che si occupano di criminalità organizzata: andare di persona nei luoghi, parlare con magistrati, poliziotti, finanzieri, collaboratori di giustizia, conoscere i fatti, indagare, rischiare”.

Per la mafia, o malavita organizzata che dir si voglia, controllare i “propri” territori e garantirsi impunità al loro interno vuol dire anche impedire la libera informazione, costringerla al silenzio; la pentola della malavita organizzata nella città di Siracusa è stata scoperchiata tante volte dalla procura distrettuale antimafia con l’ausilio degli investigatori delle forze di polizia.

Anche nel territorio siracusano, la forza intimidatoria della malavita organizzata è resistente, soprattutto nel capoluogo in cui ai vecchi clan si sono sostituiti le “squadre”. Il monopolio del pane, della carne. Piccole estorsionie intimidazioni ai proprietari dei negozi e delle varie attività, dei paninari per alterare il regime concorrenziale nel settore della vendita della carne e dei panini ambulante.

Siracusa è nella morsa delle nuove leve che avanzano e la ripresa dell’attività criminale sommersa e invisibile è silente; non è conosciuto ancora il vero grado di pericolosità. Lo spaccio della Droga è imponente. La ripresa dell’attività delinquenziale a Siracusa città conferma che la giovane malavita siracusana si è riorganizzata. In buona parte, si può definire “sommersa” o “invisibile”; non fosse altro perché non ci sono notizie certe su tutte le altre e nuove attività svolte dagli uomini dei clan che si sono riorganizzati; sono venuti a mancare gli investigatori vecchia maniera. Quelli che avevano accesso ai segreti più reconditi. I comportamenti e il modus operanti dei collaborati da manovali e gregari selezionati, con la ripresa forte delle estorsioni di piccolo cabotaggio con somme di denaro di piccole entità, il controllo del gioco d’azzardo per un tempo limitato al periodo natalizio, del traffico della droga in grande stile tra i primi posti in Sicilia per consumo di stupefacenti, del pizzo sulla prostituzione e il controllo del territorio, al fine di tenere tutto sotto controllo, conoscendo fatti e misfatti.

La ripresa dell’approccio tradizionale dei vecchi clan mafiosi con la società liquida e con l’economia, è fallita. Segno che in realtà sta cambiando qualcosa. La qualità organizzativa non è strutturata, mala organizzata; ma le tecnologie sono in uso continuo e diffuso. Videocamere e vedette, sistemi nuovi di trasporto, specie nello spaccio della droga praticato da provetti commercianti. Si trovano ormai palese tracce di mafia all’interno della pubblica amministrazione. Uomini delle istituzioni entrati in connubio con pezzi della malavita organizzata che passano informazioni sensibili a uomini e che vivono all’ombra del demonio. Anche molti sub appalti sono sotto il controllo di una branca della malavita organizzata siracusana e catanese, quella che partecipa alle competizioni elettorali, ed è sempre presente nei comitati d’affari.

Ma più di tutte le cose, fa paura la nuova frontiera delle organizzazioni mafiose postmoderne, dove sono sempre si più coinvolti magistrati, giudici, funzionari pubblici, avvocati, uomini della politica. La nuova mafia fa sempre più leva sul sistema della corruzione coinvolgendo dall’imprenditore al politico mostrando come il radicamento nel tessuto sociale e nelle amministrazioni sia stato sempre il suo obiettivo, abbandonando la guerra armata per praticare gli affari economici investendo ingente somme di denaro in attività con prestanome laureati .

Il traffico di droga ha rappresentato l’affare del secolo per le organizzazioni mafiose ed è un fenomeno che agisce in grande profondità. La droga si nutre in gran parte della disperazione della gente così come il gioco d’azzardo e l’usura, con la crudele conseguenza di lasciare le vittime in stato di bisogno e incapaci di trovare una liberazione generale.

All’inizio degli Anni Ottanta, la mafia siracusana, feroce e violenta, decide d’intimorire il giudice istruttore, Francesco Fabiano e di eliminare il sostituto procuratore Dolcino Favi. Con un ordigno di grosso potenziale l’autovettura del giudice Fabiano fu disintegrata mentre era parcheggiata sotto casa; pochi giorni dopo nel cortile del Tribunale di Siracusa nella vecchia sede di Piazza Della Repubblica, un altro ordigno fu fatto esplodere mentre i magistrati siracusani si erano riuniti per esprimere la loro solidarietà al collega Fabiano, che stava proprio in quei giorni istruendo dei processi su alcuni fatti criminosi e contro elementi di spicco della mafia siracusana. Il giorno dopo l’attentato presso il cortile del Tribunale di Siracusa in piazza della Repubblica, gli uomini dei clan, rinchiusi nel vecchio carcere giudiziario di via Vittorio Veneto, furono tutti trasferiti e divisi tra loro in diverse strutture carcerarie dell’Isola e oltre lo Stretto, al fine di evitare i contatti con gli uomini che si trovavano in libertà e che eseguivano gli ordini impartite da dietro le sbarre dai loro capi per tentare di allentare il terrore che in città come del resto della provincia aveva raggiunto i limiti di guardia.

Ma dopo un tempo relativamente breve, i carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Siracusa, informarono il sostituto procuratore della Repubblica, Dolcino Favi, rafforzandogli nel frattempo le misure di sicurezza della preparazione di un commando armato per le dinamiche di un attentato nei suoi confronti presso la sua casa di campagna da parte della mafia siracusana, che imperava ben organizzata e con un solo e unico clan già nel territorio. Stessa sorte era stata destinata a due noti penalisti siracusani. L’intervento della magistratura con una ventina di ordini di cattura fermò quel programma delittuoso.

Dopo i relativi processi per quei morti ammazzati e il riassetto organizzativo delle cosche ormai decimato, l’attività criminale riprende lentamente; i superstiti si riorganizzano in tanti piccoli clan, oltre a quelli di nuova genitura e che nel frattempo si erano affacciati nello scenario criminale, invadendo così quasi tutti i territori da sfruttare nell’intera provincia di Siracusa. Ormai in città la paura collettiva per la gente era un ricordo lontano, così come gli atti criminali nella pubblica via stile Palermo; ma i segnali di un tentativo di ripresa erano fin troppo chiari. La risposta dello Stato fu altrettanto forte. Con uno spiegamento massiccio di forze di polizia, a livello giudiziario e investigativo, fece terra bruciata alla nascente nuova mafia a Siracusa. Nel mese di luglio del 2007, con un’operazione di polizia, coordinata dalla Dia di Catania, le forze rimaste in campo furono decimate e il nascente clan detto di “Santa Panagia”, riorganizzato dai suoi esponenti di spicco da poco scarcerati dopo una lunga detenzione, con ambiziosi progetti e mire espansionistiche senza limiti, fu disintegrato quella notte. È la fine storica dell’ultima traccia di vecchia mafia a Siracusa.

In tutto quel periodo storico vi furono anche altri clan malavitosi in attività nella zona nord di Siracusa, Lentini, Francofonte, Augusta, Villasmundo, con riferimenti chiari e in rapporti d’affari con la mafia catanese dei clan Santapaola e Laudani (“i mussi i ficurinia”) altri, così come nella zona di Floridia-Solarino, Avola, Noto e Pachino, con uomini altrettanto decisi e spietati, che in contrapposizioni si scontrò in quegli negli anni, con una violenta guerra tra clan con tanti altri morti ammazzati e feriti.

Negli Anni Ottanta arrivò persino l’attenzione del Ministro degli Interni dell’epoca, Oscar Luigi Scalfato, che in un rapporto alle Camere, decreta lo status di territorio mafioso anche per Siracusa, citando espressamente il vecchio clan Urso-Bottaro, come emergente e con pericolose e diretti rapporti con uomini di spicco della mafia catanese e palermitana. La guerra tra i clan, durata dall’inizio degli Anni Ottanta e fino agli Anni Novanta, portò allo sterminio di quasi tutti gli uomini d’onore, spegnendo così definitivamente i sogni di gloria di una carriera mafiosa ma ora l’escalation criminale nel territorio siracusano è stata confermata dalla magistratura inquirente e dalle forze di polizia. Sotto accusa i flussi di denaro in cui sarebbero coinvolti i colletti bianchi che rappresentano i poteri forti nel territorio siciliano, tra la città di Augusta e il resto del mondo, così come nei grandi appalti pubblici. E se è vero che la storia si ripete, eccone la prova.

A Siracusa nella parte finale del 2017 si è intensificata la recrudescenza del fenomeno estorsioni e del traffico della droga, anche se le forze di polizia hanno portato a termine ben tre operazioni con tanti arresti e il sequestro di stupefacenti, registrando nel frattempo anche una serie di attentati gravi a diverse attività commerciali a pochi giorni di distanza; fenomeno che non si è fermato, con attività commerciali colpiti duramente nei giorni scorsi. L’episodio più inquietante è avvenuto a novembre quando è stata incendiata l’auto del sindaco di Siracusa Giancarlo Garozzo, a cui vanno aggiunte le minacce esplicite al giornalista Paolo Borrometi, da parte di Francesco De Carolis, elemento di spicco dello storico clan Attanasio-Bottaro. La vicenda ha innescato un rilevante rilievo mediatico forte fino a fare balzare alle cronache la nuova realtà mafiosa nel territorio della provincia di Siracusa, considerata da sempre “babba”. Così come conferma il rapporto 2017 della DIA per tutto il territorio di Siracusa con la presenza di una pace silente mafiosa che consente per il momento il mantenimento dei traffici di stupefacenti, delle estorsioni e in altri settori, specie in quello agroalimentari, ma anche della ripresa criminale in atto, considerata grave e pericolosa.

Siracusa è stata da sempre un porto franco, un territorio satellite al servizio della malavita organizzata d’altri luoghi; il rapporto con mafia palermitana, catanese e la ‘ndrangheta calabrese e stato registrato copioso e di continuo, specie per quel che riguarda il traffico della droga, dove le quantità trattate e transitate per il territorio siracusano sono sempre copiose. Il sequestro da parte delle forze dell’ordine siracusane di droghe registrato negli ultimi ventiquattro mesi è stato notevole e con un sistema dove a essere arrestati sono quasi sempre incensurati; segno che il sistema funziona a compartimenti stagni, e non è un caso che il punto d’appuntamento si trova registrato lungo l’arteria autostradale all’altezza dello svincolo tra Siracusa nord, Floridia e Priolo. Infatti, era Floridia, oltre che Lentini, dove si  è registrato il maggior interesse all’ingrosso della droga, finanche con diversi omicidi e clan che si sono succeduti nel controllo del traffico e si sono affrontati in una guerra feroce e collegata direttamente al traffico della droga; a Floridia gli interessi per gli stupefacenti hanno un punto di forza economico non indifferente, dove a investire milioni di euro, sono da sempre i “baroni dell’usura”, che agguantano ogni affare, dove poter lucrare dopo la crisi economica dell’economia. Il giro di moneta contante che ruota sull’affare droga è indefinibile.

Il territorio siracusano con i suoi “banchieri” è stato un punto di riferimento certo e sicuro per corrieri e commercianti, che per motivi logistici s’incontrano in un luogo di passaggio più consono per regolare gli affari in gran segreto come una comune autostrada dove il transito riesce a nascondere i movimenti loschi. Risultanze che i magistrati inquirenti della DDA di Reggio Calabria riportano nei verbali e nei decreti, parlando di “traffici illeciti, dove trovano riscontro nei rapporti allacciati con esponenti della realtà criminale siciliana”. Sono le intimidazioni all’avvocato Francesco Favi e al cronista Gaetano Scariolo rimaste insolute a far pensare che la nuova delinquenza rimane impunita.

Sono da considerate davvero troppe le intimidazioni nel territorio della provincia di Siracusa con una media ponderale di una al giorno. Il clima che si respira è davvero pesante. L’ultimo atto criminale registrato (oltre a tanti altri che hanno fatto meno scalpore) dopo l’incendio dell’auto del giornalista siracusano Gaetano Scariolo, è l’auto data alle fiamme da sconosciuti dell’avvocato siracusano Francesco Favi, presidente dell’Ordine degli avvocati di Siracusa e figlio del magistrato in pensione, Dolcino Favi.

Nel primo caso indagano gli uomini della Squadra Mobile della Questura di Siracusa; mentre per il secondo indagano i carabinieri della Sezione investigativa del reparto operativo. In entrambi i casi, gli investigatori hanno analizzato le immagini delle telecamere di videosorveglianza nella zona, dove abitano le vittime predestinate, oltre alle testimonianze di vicini e chi si trovava a transitare a quell’ora nelle zone interessate agli incendi a piedi, in moto o in auto. Polizia e carabinieri scrutano anche ogni minimo indizio proveniente dagli ambienti malavitosi in cerca di possibili tracce che possano collegare i due gesti intimidatori ai responsabili.

Un’attività investigativa minuziosa, nella logica che portò alla scoperta degli autori dell’intimidazione e con la stessa tenacia che portò all’identificazione degli autori che hanno dato alle fiamme l’auto dell’ex sindaco di Siracusa, Giancarlo Garozzo; in un primo momento confusa con il coinvolgimento della malavita organizzata, o mafia che dir si voglia, per scoprire che si trattava di fatti derivati dall’attività amministrativa della carica di sindaco.

La forza vince con il vincolo associativo e la condizione di assoggettamento e di omertà che deriva dall’intimidazione. Ciò è particolarmente vero nelle aree tradizionalmente mafiose, dove più forte è la cultura della sudditanza, ma qui da noi, diventa un modus operante. Chi subisce l’attentato è testimone di una forma di sopraffazione, è spesso, vista in questi termini, significa essere colpevole di fatti che entrano nella sfera emozionale della vita privata, lavorativa o affettiva, di una sub-cultura relegata spesso a fattori di rischio sociale. Le vittime di solito prendono coscienza della propria dignità, e hanno provato ad affrancarsi dal dominio con la denuncia pubblica, forte e chiara. Nella provincia di Siracusa nel tempo è lunghissima la lista delle minacce con le fiamme, colpi di pistola e bombe a scopo intimidatorio, ma non è mafia. A confermare tale siffatta condizione, oltre alla matrice intimidatoria, sono inquirenti e investigatori, per chiarire che in merito nessuna pista è esclusa e che l’attenzione investigativa è ai livelli massimi. Episodi del genere devono essere immediatamente combattuti e rimossi, vittime predestinate a ventaglio sono, giornalisti, avvocati, sindacalisti, uomini delle forze dell’ordine, politici e comuni cittadini.

Concetto Alota

Ecco la testimonianza di un ex addetto ai lavori

Piccione: “Io, collaboratore di Giustizia: una scelta giusta”

Inviato da: Redazione in L’Opinione 26 Febbraio 2015

Riceviamo e pubblichiamo.

Egregio direttore, con riferimento agli articoli pubblicati dal vostro giornale sul fenomeno dei nuovi pentiti e delle nuove indagini della DDA di Catania, voglio chiarire il ruolo che il sottoscritto, rag. Rosario Piccione, ha svolto all’interno della malavita organizzata siracusana; quindi chiedo cortesemente solo ai fini della verità delle cose, la pubblicazione della presente per far capire alla pubblica opinione come stanno effettivamente i tanti fatti storici che nel tempo sono stati raccontati dalla cronaca.

Sono entrato a far parte del clan Bottaro-Attanasio senza quasi che mi accorgessi dello sbaglio che stavo per fare (a Siracusa non siamo a Palermo non si fa il battezzo con il sangue);com’è ben noto, io avevo un’agenzia a Siracusa per il disbrigo di pratiche denominata, “Tuttofare”, sita in via Sebastiano Olivieri; nel 1997 mi fu presentato da un amico in comune Michele Midolo (detto “Michiluni”) il quale, dopo la conoscenza, tutti i giorni mi veniva a trovare  presso la mia agenzia; luogo dove tutti i componenti di quel clan fecero quasi la propria sede operativa. Ma il primo problema nacque quando iniziai una relazione sentimentale, ma con tanto amore sincero, con una ragazza, allora convivente di un esponente della mafia siracusana, la quale signora diventava mia moglie 14 luglio 2001; da quell’unione nacque un bambino. Per questa situazione il diretto interessato voleva uccidermi; ma s’inserì nel discorso Alessio Attanasio, che prese subito le mie difese, e dicendogli all’interlocutore che il “Ragioniere” non si tocca e che se mi dovesse accadere qualcosa gli avrebbe ammazzato tutta la famiglia.

Da quel momento diventai il pupillo di Alessio Attanasio, il suo delfino, e iniziai a commettere parecchi reati per conto del suo clan denominato appunto, “Bottaro-Attanasio”.

Da quel momento in poi Alessio Attanasio, per una serie di vicissitudini, di pubblico dominio, diventò, nei fatti pratici, il numero uno della malavita locale, o mafia che dir si voglia, e quindi io ero galvanizzato da questo “personaggio magico”, addirittura dal piacere di vivere insieme in una villetta al mare nella zona della Fanusa insieme con le rispettive mogli, e insieme con Angelo Iacono, quindi, allora tutti buoni e sinceri amici. Poi, naturalmente, i soldi facili guadagnati, semplicemente estorti a quei poveri commercianti terrorizzati dall’attività del clan, fece scattare nella mia anima e nel mio cuore un profondo rimorso, fatto che oggi non nego a dirlo e che mi vergogno anche solo fatto di aver conosciuto quell’ambiente tanto maligno e cattivo.

Il mio pentimento nacque anche, in verità e sincerità, dal fatto che dopo arrestato potevo godere di una serie di agevolazioni che lo Stato prospetta a chi vuole collaborare con la Giustizia, e quindi io non essendo stato mai in carcere e con il profumo di una imminente libertà e la speranza di una sistemazione in una nuova località segreta, e quindi a nuova vita libera e gioiosa, ho preso la palla a balzo e sono diventato un collaboratore della Giustizia. Infatti, dopo due mesi di carcere a Siracusa chiamai i magistrati della Procura Distrettuale Antimafia di Catania, competente per territorio (nella specifica il dottor De Masellis), e prospettati la decisa e ferma volontà di iniziare a collaborare. E così solo dopo quattro mesi di detenzione preventiva fui scarcerato; la cosa che a questo punto tengo a sottolineare, è che quando collabori con la Giustizia e segui un comportamento corretto, lo Stato non ti abbandona, anzi. Oggi sono passati tredici anni dalla mia collaborazione e le istituzioni dello Stato mi sono state sempre vicine, ora come allora. Ma, molto amareggiato, oggi leggo sulla stampa che ancora a Siracusa si pratica la legge del “pizzo”, di gente che secondo me avrebbero dovuto capire dopo tanta carcerazione dove sta il male e il bene, ossia, il Davide Pincio e il Maurizio Bianchini, così come tanti altri ancora, hanno tentato di estorcere la somma di 800 euro di acconto a un panificatore della zona alta della città; ma ora sanno di rischiare anche dieci anni di carcere. Ecco perché invito tutti i giovani di non schierarsi più con gente dei clan malavitosi, perché il crimine non paga, e non vale la pena invischiarsi in una vita fatta di paure e di stenti, e privati di un bene universale e bello come la libertà, di non spacciare più le sostanze stupefacenti per far arricchire i trafficanti della droga di mezzo mondo perché, oltre che avvelenare tanti altri giovani in tenera età, alimentano le casse della malavita; anche perché la mancanza di lavoro è una cosa, inventarlo, crearlo, è un’altra cosa tanto bella e che ti soddisfa, che ti rende libero dalla schiavitù della mafia, così come la verità, quella incontrovertibile.

Frequentare le forze dell’ordine, i tutori della legge, le istituzioni dello Stato libero, organizzato e democratico, può aiutarti anche a trovare un buon lavoro, uno qualsiasi, pur di renderti libero dai tentacoli della malavita, mafia, ‘ndrangheta, camorra. E soprattutto conviene sempre essere collaborativi con le forze di polizia e lo Stato in generale; così si ha la fortuna, specie a Siracusa, di avere la Squadra Mobile della Questura, così come di tutte le altre forze di polizia, una delle più efficienti d’Italia, con uomini sempre pronti a darti una mano, nel rispetto delle leggi s’intende.

Infine, ripeto e voglio sottolinearlo, immettere nel mercato le sostanze stupefacenti che colpiscono il cuore della società, i giovani e gli adulti, a volte anziani, è davvero un crimine con quella “merda bianca”, che ammazza tanta gente e che potrebbe a sua volta colpire anche i tuoi familiari, i tuoi amici, i tuoi parenti. Non voglio prolungarmi di più, ma spero e vi ringrazio anticipatamente per lo spazio che mi vorrete dedicare, con la cortese possibile altra opportunità d’intervenire per chiarire altre circostanze volte a fa luce e chiarezza nei confronti dell’intera comunità siracusana, la quale ha il diritto di conoscere la verità delle cose.

Con i più distinti saluti.

Il collaboratore di giustizia –Rag. Rosario Piccione

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