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Siracusa, detenuto in coma dopo essere stato aggredito dal compagno di cella

Da dieci giorni è ricoverato in coma al reparto di rianimazione dell’ospedale Umberto primo di Siracusa, a causa delle gravissime e diffuse lesioni subite a seguito di un’aggressione in carcere. Si tratta di un detenuto di 34 anni, di nazionalità moldava, il cui quadro clinico è ritenuto critico dai sanitari. L’aggressione è avvenuta in una cella della casa circondariale di Cavadonna la notte tra il 4 e il 5 ottobre. Da quanto è stato possibile apprendere, il malcapitato, la cui fine pena è fissata per il 2024, era stato posto a regime d’isolamento e sorveglianza a vista a causa del suo stato depressivo.  

Condivideva la cella con un altro detenuto, proveniente dai paesi dell’Est europeo, con problemi psichici. Questi, utilizzando un corpo contundente, avrebbe dapprima assestato al compagno di cella un colpo alla nuca tramortendolo per poi accanirsi con ferocia al punto che, all’arrivo dei soccorritori, il detenuto era incosciente e presentava lesioni anche interne oltre che a fratture entrambi i femori al bacino. La vittima dell’aggressione non ha alcun parente o amico in Sicilia. La sua famiglia, indigente, si trova in Moldavia. Alla madre e alla moglie, che vive prendendosi cura di due figli piccoli, giungono notizie attraverso una mediatrice culturale. 

L’aggressore, che, subito dopo il fatto, è stato sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio ed è stato trasferito in un altro penitenziario, non sembra essersi reso conto della gravità dell’accaduto. La Procura aretusea ha aperto un’inchiesta per ricostruire l’intera vicenda e accertare le responsabilità. 

“Forse non si riesce ad afferrare la parte debole e critica del caso – afferma Giovanni Villari, garante dei detenuti che ha depositato una relazione al Comune di Siracusa – ma se l’azione di monitoraggio e la presenza dello psichiatra (figura specialistica molto carente in area sanitaria penitenziaria) fossero state efficaci, la gravità della patologia psichiatrica dell’aggressore non sarebbe stata sottovalutata. Nel caso specifico, a un uomo che soffriva di disturbi depressivi che lo avevano già portato a tentare il suicidio per ben quattro volte (il detenuto aggredito), sono stati applicati tutti i protocolli prevedibili a salvaguardia della sua incolumità. Al contrario, per l’aggressore, le cui patologie erano già state individuate, non si è messa in atto un’azione di monitoraggio specifica, né, tantomeno, si è ricorsi all’isolamento per proteggere gli altri detenuti”. 

Sulla vicenda è intervenuto il sindacato Sippe, organizzazione degli agenti di polizia penitenziaria. “Quanto accaduto al detenuto – afferma il presidente del sindacato polizia penitenziaria, Alessandro Di Pasquale – purtroppo, non può essere considerato un fatto isolato ma rappresenterebbe la conseguenza del fallimento del sistema penitenziario. Più volte, ai vari governi di turno, abbiamo chiesto strategie concrete nella gestione delle carceri, puntando sulla sicurezza degli stessi”.  

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