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Primo Maggio di speranza per un sindacato europeo unito e forte verso la rivoluzione del lavoro

La funzione del sindacato dei lavoratori si è indebolita. Il ruolo è cambiato. Il prestigio è calato. Lavoro, diritti, stato sociale in Italia, così come in Europa, non sono omogenei. Il valore del Primo Maggio rimane una data storica importante che si ripete come una litania senza rinnovare il senso storico del tempo. Un momento di riflessione e di speranza per la moderna società liquida nel cercare nell’Europa unita una strada verso la rivoluzione di un sindacato forte e unito. Una politica sociale universale del lavoro nella dignità e il rispetto degli esseri umani al centro di ogni altro interesse, più solidale e collettiva per far ripartire l’economia sul fronte delle infrastrutture e i servizi pubblici per creare la grande federata Nazione nell’Europa unita sognata e una ripresa globale senza barriere. I sindacalisti sono passati nella storia da pionieri sociali, a funzionari e dirigenti privilegiati. Oggi il sindacato-associazione dei lavoratori nel senso storiografico non ha più lo stesso significato e potere; il legame tra i lavoratori e la società con il forte ruolo positivo del sindacalismo nell’economia reale come un tempo, è ormai tramontato con la globalizzazione che ha inghiottito anche le ideologie e gli alti valori degli uomini. E le risposte vanno oltre le variabili strettamente legate a fatti meramente sindacali-politici, come mostrano gli eventi. E non è nemmeno una strategia nei diversi fatti contingenti delle singole aziende che continuano a essere rilevanti, nonostante le dinamiche fuori regime sia delle industrie attraverso la potente Assindustria, sia dei lavoratori con i propri sindacati, ma alla crisi d’identità del sindacato nel suo insieme nella rivoluzione del lavoro a seguito della globalizzazione inghiottita dal sistema politico corrotto.

Il diritto al lavoro in Italia è violato. Impegnarsi per dieci ore e ricevere la paga per appena quattro senza alcuna possibilità di difesa, è una realtà di tutti i giorni. La crisi della Sinistra storica, insieme al sindacato dei lavoratori, nella realtà non ha compreso in tempo il dramma del lavoro. Un sindacato che si fa forte di milioni di lavoratori pensionati e di categorie storiche che ne costituiscono il nucleo centrale, ma che non dice niente a milioni di precari i quali non si sentono rappresentati. Precari a vita nella pubblica amministrazione, commesse, garzoni, tecnici, operai, giornalisti, attori, pittori e lavoranti in genere, nella maggior parte dei casi sfruttati per la sopravvivenza in una crisi endemica che condiziona persino le istituzioni dello Stato democratico. E non sarà l’elemosina, per la maggior parte dei casi, la controversa di un diritto di cittadinanza che appare più una propaganda che una soluzione alla disoccupazione e una risoluzione per debellare la povertà riflessa dalla disoccupazione e dalla crisi nella moderna società liquida e senza valori. Paradossalmente, chi lavora in certi casi guadagna meno di chi è riuscito ad ottenere il reddito di cittadinanza bollato dal governo giallo-verde che appare nella segnaletica politica, nei fatti pratici, rosso e nero. Un paradosso.

Nessuna certezza del diritto, dunque, per chi lavora, men che meno per i disoccupati abbandonati al destino dei vinti ad arrangiarsi: spaccio di droga, lavori precari o stagionali, vendita abusiva di frutta e verdura, prostituzione, accattonaggio costretti alla fine emigrare all’avventura. In Sicilia, e nel Meridione in generale, se non hai la raccomandazione, non puoi trovare lavoro nemmeno in una gelateria, o in un negozio come garzone, in un ristorante come lavapiatti o cameriere. Il lavoro è lasciato al libero arbitrio degli industriali, dei commercianti, artigiani e imprenditori in genere, scavalcando le forze di polizia, l’ispettorato del lavoro, la magistratura, quando invece deve costituire oggetto di politiche pubbliche, nell’ambito di una più ampia programmazione di stato sociale, dove il controllo deve essere efficace e i parametri conformi alla dignità umana, come vuole il dettato Costituzionale. Manager pubblici con 40mila euro al mese; deputati e senatori che guadagnano dagli 11mila ai 25mila euro al mese, e chi, invece, non può comprare il latte per sfamare i propri figli.

I sindacati dei lavoratori tentano in tutti i modi di contrastare il grave fenomeno sociale, ma mancano le verifiche, e soprattutto la ferma volontà di chi deve denunciare per paura di perdere quel pizzico di lavoro trovato dopo anni di ricerca e umiliazione, per il passa parola tra imprenditori che sfilano una lista nera di chi cerca i propri diritti. In questa logica non scappa nessuna categoria. O abbozzi o non lavori. La paga è ridotta a un terzo del dovuto, quando non c’è anche il ricatto sessuale. Una busta paga, in teoria e sulla carta completa, ma il denaro ricevuto dal dipendente è dimezzato, e a volte anche meno.

 L’articolo 23della Costituzione recita che ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione; senza discriminazione, ha diritto a eguale retribuzione per uguale lavoro. Chi lavora ha diritto a una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un’esistenza conforme alla dignità umana e integrata, se necessario, da altri mezzi di protezione sociale. Chi lavora ha il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi, ma anche l’iscrizione a un sindacato è un punto sfavorevole per avere diritto al lavoro.

In sostanza, il lavoratore deve sempre tenere a mente che restare senza un’occupazione si può verificare in ogni momento, dall’oggi al domani; tra l’altro le norme e in vigore non costituiscono un deterrente valido per il datore di lavoro, che può mandare a casa le persone senza doversi fare troppi scrupoli e assumere secondo la sua discrezionalità, in un mercato, dove i disoccupati sono migliaia.

La disoccupazione e la mancanza di lavoro sicuro spingono i lavoratori a trovare occupazione nel settore informale, “amichevole”, dell’economia sommersa. Ci sono poi i lavori sfruttati, forzati, in cui i governi degli stati democratici, come da noi solo sulla carta, sono obbligati ad abolire, vietare e contrastare, intervenire per ridurre quanto più possibile il numero di lavoratori che operano al di fuori dell’economia sommersa, obbligando i datori di lavoro a rispettare la legge e dichiarare i nomi dei loro lavoratori. Insomma, rendere possibile la garanzia dei loro diritti. È proibito il lavoro dei minori di sedici anni, ma è solo una norma scritta e basta. Il diritto al lavoro, non ha nulla a che vedere con l’ideologia neoliberista e relative attaccaticce varianti. La regola teorica del vecchio Marx vuole che il salario si abbassi quando il numero dei disoccupati si alza; regole e leggi che nessuno rispetta, aggirando invece le mille norme in materia vigenti in Italia. Il diritto al lavoro, di fatto, è negato.

La fine dell’industrializzazione e i fattori che hanno portato al tramonto dell’impresa classica, insieme e al sindacato dei lavoratori, risentono della spersonalizzazione dell’incontro fra la domanda e l’offerta di manodopera e della negoziazione delle condizioni di lavoro in maniera diretta. Il mercato del lavoro è ormai dato dalla concorrenza tra gli stessi lavoratori, senza la mediazione delle istituzioni, in cui i sindacati dei lavoratori avevano un ruolo mediatico e di rappresentatività associativa. Un dualismo, dettato fra protetti dal sindacato regolare e gli esclusi tra i quali la grande maggioranza dei più giovani; un movimento liquido tra la divisione e la funzione delle organizzazioni sindacali che è diventata in parte politica che appare largamente superata, non più compresa dalla maggior parte delle maestranze. È cambiata anche la regola della concertazione che costituiva uno strumento utile e dare una marcia in più sia al sindacato sia alle istituzioni, così come alle associazioni imprenditoriali sugli obiettivi da raggiungere e i vincoli da rispettare con la condivisione.

Il sindacalismo si è costruito dal Dopoguerra in poi fino all’attuale crisi prevalentemente intorno alla contrattazione di livello nazionale e locale, che si è nutrito d’intese tra il sindacato stesso e il Governo. La storia dei movimenti operai europei è piena di sindacati che si sono trasformati in partito, o hanno stabilito rapporti molto stretti con partiti politici amici. Questo fenomeno, quasi scomparso, era legato a un contesto nel quale il compito, che il sindacato sia il partito si proponevano era di correggere la contorsione di cui prima beneficiavano solo le imprese nel mercato del lavoro a svantaggio dei lavoratori. Siamo ritornati indietro nel tempo.

Concetto Alota

 

 

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